martedì 13 dicembre 2016
La vera Tradizione. Il vero Maestro. La vera Scuola Spirituale. L’inutile sforzo della “legittimità spirituale”.
Con questa mia riflessione non difenderò la new-age e men che meno giustificherò gli improvvisatori dello spirito e i mercanti di salvezza. Così come non negherò il valore della Tradizione. Tuttavia, d’altra parte, intendo suggerire una maggiore serenità e, forse, un bagno di umiltà a tutti coloro che si sentono in dovere o nella necessità di ritenersi - oppure che si ritengono (esibendosi e non di rado millantando) - gli allievi o i rappresentanti legittimi di una “vera scuola” e di un “vero guru”. Essi sono i veri allievi, i veri iniziati, quelli che possono parlare, dire di essere in un vero cammino spirituale, che possono o che potranno insegnarlo e che pretendono pure, in virtù di questa legittimità, di avere l’autorità di “sbugiardare” altri che non lo sarebbero o che, a loro volta, pretenderebbero di esserlo ma che sono di un'altra parrocchia, magari rivale, e quindi non sono “quelli veri” o sono quelli “meno veri”. Loro hanno visto e possono vedere la luce: gli altri no. Loro possono mostrarla: gli altri no.
Ragioniamo. Se vogliamo stabilire se una via spirituale, o anche solo un’affermazione di carattere spirituale, sia o meno vera e autorevole, ovviamente conservando un minimo di criterio di discernimento basato su verificabili e verificati indizi di onestà, impegno e competenza, dobbiamo riconoscere che lo sono tutte o non lo è nessuna.
Dico questo prima di tutto perché credo che l’affidabilità, ovvero la verità di un percorso, la conferisca per sé la persona che lo sta percorrendo, la quale essa persona dovrà essere preoccuparsi di essere autentica: in quel modo renderà autentico il percorso che sta vivendo con devozione e impegno. Quindi il problema si sposta dalla “scuola” alla persona che la segue o che la rappresenta: io credo nel genio umano e nel primato della responsabilità individuale.
Secondariamente, in fine dei conti, l’ansia di questa legittimazione credo sia del tutto infondata: inutile quindi cercare (o inventarsi) una legittimità di cui non solo non si dovrebbe sentire il bisogno, ma che non può essere assegnata ad alcuno.
Certo, se una scuola, quindi una “tradizione”, esiste da molto tempo probabilmente ha dei contenuti di tutto rispetto (che tuttavia dovranno essere applicati a rinnovati alla luce delle esigenze attuali). Del resto è anche vero che molte scuole tale continuità l’hanno vinta in guerra. Inoltre è da considerare che l’esoterismo è fatto di cose non note e non pubbliche, quindi non sempre storicamente accertabili, quindi ciò che è storicamente accertato non è detto che corrisponda a ciò che stiamo cercando.
È vero che la linearità “maestro-discepolo” può avere la sua importanza nel mantenimento di una certa integrità di contenuto e di metodo.
Eppure stiamo pur sempre parlando di cosa? Di una conoscenza tramandata da più o meno tempo, più o meno diffusa e rinnovata nel tempo e nello spazio, più o meno antica o moderna (in questo caso la diffidenza aumenta e quindi l’ansia di legittimarsi aumenta proporzionalmente) riconducibile a una persona (o ad un gruppo di persone) che in un lontano o recente passato – ricordiamoci che stiamo parlando di contenuti spirituali – hanno o pretendono di aver… parlato con Dio. In un modo o nell’altro. Chi tramite ispirazione, chi scrivendo sotto dettatura, chi ricevendo un insegnamento orale o scritto da parte di qualcuno che era – o si vuole esser stato - Dio, incarnato o meno.
Capite bene che si dovrebbe ritenere legittima la scuola che ha una maestro, ovvero un capo-scuola (meglio se antico), al quale si assegna, per fede, natura divina oppure che è stato il protagonista di una rivelazione divina, credendo a questo fatto, ancora una volta, per fede. Da qui il passa parola maestro-allievo, i libri “sacri” e quant’altro fonda una cosiddetta “via vera”. Quella “via vera” riterrà che le altre vie (diverse e/o successive) non siano vere: eppure ognuna di esse afferma di fondarsi su una rivelazione sovrannaturale, spesso può vantare altrettanto spessore storico, oppure non essere così nota proprio perché “esoterica”, oppure ancora, se recente, non possiamo ora stabilire se il futuro non le riservi un grande successo. Quindi di cosa stiamo parlando? Del nulla: o meglio, di una rivelazione che vale per tutti o che non vale per nessuno, dato che stiamo parlando dell’aver incontrato Dio. Non noi: ma uno tanto tempo fa, il quale, con i suoi argomenti e libri e aforismi e tecniche ci piace molto.
Se una via è vera, allora possono esserlo tutte, oppure non lo è nessuna e allora stiamo più semplicemente parlando di possibilità, di ipotesi di lavoro fondate sul genio umano e sulla serena responsabilità individuale di chi cerca con intelligenza, onestà, impegno e competenza e che non dovrebbe avere tutto questo bisogno di avere Dio alle spalle: perché tutta questa necessità di affermarsi in quanto “vero allievo” (o maestro) di una “vera via” e magari inventarsi storie e miti – rischiando davvero il ridicolo – nel momento in cui si dovrebbe serenamente cavalcare l’onda di una bellissima intuizione originale e personale?
Badate bene: una via “che valga la pena” deve essere vissuta con impegno, intelligenza, ovvero studiando, praticando, facendo tesoro degli insegnamenti di chi prima di noi si è dato un gran da fare, e mettendoci del proprio: costruendo il proprio sentiero profondo, interiore, che contribuirà al bene di quella Verità che non ha vie né nomi né copyright. E se l’allusione alla primeva rivelazione divina per me vale zero (cioè, come ipotesi di partenza, vale per tutte, vecchie e nuove vie, o non vale per nessuna), allo stesso modo la durata storica e il successo sociale non sono per me determinanti, così come non lo sono l’esibizione di miracoli, visioni, poteri e facoltà sovrannaturali, che tanto hanno a che fare con una mondanità aumentata (proprio come oggi si parla di “realtà aumentata” nell’ambito della moderna informatica) piuttosto che con l’evoluzione della coscienza spirituale. Bolle (e balle) di Ego senza senso.
Inutile quindi vivere nell’ansia di una legittimità, o farne motivo di ostentazione qualora si presumesse di averla: non è reale! E poi, per dirla tutta, si troverà sempre qualcuno più tradizionale di noi pronto a bollarci se considerate che per un purista dei Veda, che già mal sopporta Shankara, Patanjali è New-Age: i Tantra spazzatura. Eppure tutti hanno parlato con Dio. E magari ci ho parlato anch’io prima di iniziare la mia divulgazione. Perché Vyasadeva sì e io no? Perché è più antico? Ma Dio non è atemporale? Non potrebbe parlare con me come con lui? Perché i Veda hanno diecimila anni di successo? E chi vi dice che Dorofatti non avrà quindicimila anni di successo? E poi, in fondo, come è messa oggi l’umanità, pur con tutte queste “vie vere” rivelate da Dio? Non è che ci sia quel gran risultato! No… vedete che andiamo nel ridicolo? Lasciate perdere: è un discorso che non ha senso.
Pensate ad essere autentici voi e renderete vera e autentica la via che avete per voi scelto, almeno in questo momento. Non criticate gli altri: ben intenso, sempre che ci sia un minimo di verificata onestà, umiltà, intelligenza, impegno, competenza… Non sto ovviamente legittimando cialtroni e buffoni, ma quella dell’io e la mia scuola siamo più autentici di te oppure del caspita devo inventarmi un mito antico se no non sono nessuno è un problema che dovete proprio lasciar cadere. A meno che non dobbiate vendere! A parte gli scherzi: non siete grandi yogi o grandi ricercatori spirituali, né diventerete grandi saggi perché avete, credete di avere, o vi siete inventati di avere la rivelazione di Dio alle spalle, sia essa o meno reale, o sia questo sensato anche solo come concetto, no: siete persone, come chiunque, e state percorrendo un cammino che sentite dentro di voi, sia esso antico di millenni o il frutto di un’intuizione che questa mattina vi ha colto mentre vi stavate lavando i denti: sa sarete onesti, se vi impegnerete, se studierete e sperimenterete con sincerità e devozione verso la causa spirituale, naturalmente anche attraverso una via ai miti e ai simboli della quale deciderete di credere, ma che saprete in voi rinnovare, allora sarete sul cammino. Dio vi ha parlato. Questo è il modo per saperlo: nessun altro te lo potrà dire o certificare, se non, se mai, coloro ai quali, in virtù del tuo cammino, avrai dato amore.
mercoledì 7 dicembre 2016
Libertà è Dissoluzione
La morte ci fa paura. Ma di cosa abbiamo paura esattamente? Forse non della morte in sé, piuttosto della sofferenza, o dell’idea della perdita: di perdere noi stessi, i nostri cari, la nostra vita, il nostro corpo, le nostre cose. E abbiamo paura di quel tuffo nel vuoto, nel buio, nel nulla, nonostante le consolazioni delle tante religioni le quali, ognuno a modo suo, ci raccontano di una persistenza, di una vita dopo la vita, di un paradiso, oppure di una reincarnazione e così via.
Nelle mie conferenze mi avrete sentito parlare della nostra “dispersione” dopo la morte nel momento in cui non siamo riusciti, in vita, ad edificare un senso di noi stessi, un’identità trascendente, che sappia proiettarsi oltre la vita fisica: se non costruiamo un’anima integra, dopo la morte veniamo dispersi, proprio come dispersi e sfilacciati siamo, dentro e fuori di noi, durante la vita materiale.
L’obbiettivo della ricerca spirituale, ovvero dell’edificazione di un’ Anima, della nostra anima individuale, è anche quello di costruire un ponte che ci conduca oltre la morte, in una continuità di vita ove la nostra identità permane e prosegue il suo viaggio evolutivo o, ancora meglio, risolutivo nella nostra reintegrazione con l’Assoluto: essere goccia e mare.
Qui però insorge spesso un equivoco che voglio ora definitivamente fugare.
Sì perché sembra quasi che l’obbiettivo sia il permanere, ovvero la continuità della nostra esistenza e coscienza individuale. Sembra che la “conservazione” sia lo scopo. Mentre, invece, è esattamente il contrario! E ora mi spiego.
La nostra anima, o coscienza in divenire, individuale e identificata, non ha la scopo di permanere in quanto tale, anzi: essa deve e vuole definitivamente dissolversi nell’abbraccio con l’Assoluto al quale fare ritorno, ricca dei suoi tesori, ovvero delle esperienze vissute in termini di sentimenti, emozioni, sapori, in definitiva, di Amore.
Deve e vuole dissolversi: non deve permanere. Non può permanere!
Ecco che non dobbiamo confondere il problema della continua, reiterata ed inconcludente dispersione post-mortem – causa dell’eterno ritorno sulla ruota del Samsara – con la dissoluzione cui invece tendiamo in quanto ritorno e unione con l’Assoluto, con l’Essere che è Tutto e Nulla, nel quale fonderci in un’indicibile Totalità, appunto dissolvendoci: non c’è alcuna goccia. Non c’è alcun mare.
Pertanto il concetto di dispersione, senz’altro problematico, non va confuso con quello della dissoluzione che, al contrario, risulta il Fine dei nostri fantastici viaggi nei mondi del possibile. E il Nirvana, I’Illuminazione in quanto affermazione della propria Totalità come Essere, è l’ultimo ostacolo che va tolto di mezzo per perseguire quella fusione che nello Zen, più propriamente, chiamano Satori.
In verità, l’ostacolo al Satori è proprio quella conservazione provocata dalla dispersione continua e inconcludente che di vita in vita lacera la nostra anima inconsapevole, provocando continui e indefiniti ritorni. La conservazione è provocata dalla dispersione ed è l’opposto di quella dissoluzione risolutiva che costituisce, altresì, quella Moksa che è definitiva Liberazione nell’indicibilità.
La dispersione è sinonimo dunque di conservazione inconsapevole. Ne risulta, pertanto, che quella “continuità identitaria” di cui parlo come obbiettivo di continuità esistenziale oltre la morte del corpo, quando indico nell’edificazione della propria Anima immortale il fine del “lavoro” spirituale, è soltanto un espediente che ci permette di acquisire un senso più ampio della vita, di noi stessi, della realtà, ma non deve trasformarsi nell’ennesima trappola dell’attaccamento alla permanenza, sia pure essa nella continuità di una vita superiore, ma pur sempre nel limite dell’individualità che va trascesa in funzione della permanenza, se mai, di un “sapore”: è il distillato del vissuto che se mai si proietta oltre i confini del vivente, annullandosi – e quindi realizzandosi – nell’Essere Assoluto, senza nomi.
La continuità identitaria post-mortem, quel filo (antahkarana) che inanella il divenire delle nostre esperienze (le quali, in virtù dell’anima, si proiettano oltre i veli della materia, dello spazio e del tempo), rimane come necessaria affermazione consapevole della propria Natura trascendente, ma, in virtù proprio di tale consapevolezza, si risolve nel suo opposto, ovvero nella dissoluzione (liberazione, impermanenza) che è libertà nella e della Coscienza. Rimane solo l’Amore: la vita ha senso in quanto opportunità di Amore, di Gioia, di Bellezza nella relazione. In altri termini, ciò che “deve restare” è la gioia della vita, ma non la vita. Capite bene che la “continuità di coscienza” di cui parlavo è sinonimo di dissoluzione, non di conservazione! Mentre la dispersione tipica dei fenomeni della reincarnazione è, quasi paradossalmente, sinonimo di conservazione. Ma di una conservazione inconsapevole, inconcludente, irreale.
Essere attaccati alla vita (e respingere la morte come fine, termine, della vita) è un problema che vale sia per questa vita materiale ma, attenzione, anche nei confronti di qualsiasi altra forma di attaccamento alla vita, sia essa vita superiore: è solo un estendere il campo della propria volontà di permanenza, ma il risultato non cambia: è ancora attaccamento al mezzo che impedisce la consapevolezza e la realizzazione del fine.
Il problema a questo punto è, direi, didattico: perché se vi dicessi di puntare alla dissoluzione, probabilmente vi disperdereste (conservandovi). Nel contempo se vi dicessi di puntare alla conservazione e in voi nascesse l’idea dell’Illuminazione come permanenza della vostra coscienza oltre ogni limite, pur fusa come goccia nel mare, non avreste capito.
Al Nirvana, all’Illuminazione in quanto pienezza del Sé (sia pur esso il Sé Superiore realizzato), alla continuità consapevole della vostra identità cosciente che è goccia e mare, dovete solo far finta di crederci: per ingannare il demone della dispersione. Ma sapete bene che quella consapevolezza di voi stessi, integra, luminosa e permanente oltre ogni velo, non è che meravigliosa dissoluzione: solo un sapore rimane. Senza riferimenti. Senza nomi. Solo l’Amore rimane, fuso nell’Essere che tutto è, che nulla è, la cui Coscienza di sé sta nella fragranza di infiniti vissuti, di per se stessi senza importanza, continuamente rinnovantisi in una danza senza mèta, per il puro piacere di danzare. Ecco ancora una volta l’Assoluto non come fine ma come stato di coscienza, qui e ora, ovunque e sempre. Da nessuna parte e mai.
Va da sé, a questo punto, che la vita ha senso, cioè è vera, autentica, giusta e ben vissuta, solo in quanto (e se) espressione di relazioni attraverso le quali celebrarla creativamente come gioia, bellezza, amore e libertà. Ecco il segreto della vita: un fluire d’amore senza rivendicazioni, senza attaccamento neppure verso la realizzazione più totalizzante e trascendente. Senza appropriazione alcuna.
Permettetemi una chiosa finale: qualunque via autentica vi condurrà all’abbandonare ogni pretesa di vita eterna, in quanto né vita né morte ci appartengono. Vi insegnerà invece al lasciar cadere ogni attaccamento, ogni finalità propria, ogni volontà di affermazione imperitura, svelandovi la bellezza dell’Assoluto impersonale. Vi insegnerà che quello del perdersi, in un certo senso, è un davvero falso problema. Non la stessa cosa vi prometteranno le vie in autentiche e le religioni: alimenteranno la paura della perdita e dello smarrimento, nutriranno in voi la paura della morte e della fine, vi prometteranno una salvezza. Attenzione: non una liberazione, ma una salvezza. Salvezza dalla morte, promessa di vita eterna, raggiungimento di un paradiso assoluto in cui vivere felici, che però non è mai qui: è sempre al di là. Dopo. Se ce lo meriteremo. Se obbediremo. Coloro che promettono l’illuminazione, il paradiso, la vita eterna, ma anche chi promette l’assoluto come fine e termine ultimo al quale giungere per riposarsi finalmente, nella beatitudine della contemplazione di “Dio”, vi stanno indicando una strada illusoria per legarvi stretti al loro guru, alla loro religione e alla loro chiesa nell’al di qua, e ai loro voraci dèi nell’al di là.
Abbandonate dunque l’idea della mèta definitiva: già tutto è (contemporaneamente uno, nessuno e ognuno) eppure non è; per quanto ci riguarda è oppure non è. Abbandonate il timore della morte, della fine e della mancanza, perché il tutto che siete, solo se a nulla vi attaccate, non può temere di avere o di non avere, ma neppure di essere o di non essere.
lunedì 28 novembre 2016
Considerazioni Alimentari
Tenendo
presente che mi occupo di divulgazione e formazione alla Meditazione e alla
Ricerca Spirituale è doveroso da parte
mia esporre (ed espormi) su alcuni temi di carattere sociale: ad esempio l’ho
fatto esprimendomi sulla New Age, così come definendomi più di destra che di
sinistra (per lo meno data l’attualità, in special modo italiana), sul
complottismo cercando di prendere le distanze da ossessioni e fanatismi,
persino nell’ammettere la mia serenità con Trump alla presidenza USA e il mio
“no” al prossimo referendum del 4 dicembre, esprimendo peraltro la mia
lontananza dall’imperante catto-comunismo. Sulla Chiesa (le chiese) conoscete
abbondantemente il mio pensiero!
Ora però,
spinto da molte domande sul mio essere “onnivoro”, devo necessariamente dire la
mia sulla questione alimentare: ben sapete che mangio anche carne. Pur tuttavia
sapete anche che amo il dialogo, la sperimentazione e ci tengo a portare varie
possibilità di riflessione, ad esempio invitando il dott. Andrea Passeri come
docente di cultura vegetariana e vegana in Accademia e organizzando pure cene
vegan a Terni. Ora, per ragioni di completezza, scrivo questo breve articolo
per chi volesse trovare un riferimento verso il quale eventualmente orientarsi
tenendo presente anche il mio parere, nel rispetto delle scelte di tutti.
Personalmente
seguo una dieta equilibrata: infatti sono onnivoro.
Questo vuol dire che non sono né carnivoro, né vegano: vuol dire che seguo la piramide alimentare come descritta nella dieta mediterranea (patrimonio dell’umanità).
Questo vuol dire che non sono né carnivoro, né vegano: vuol dire che seguo la piramide alimentare come descritta nella dieta mediterranea (patrimonio dell’umanità).
Ci sono
diete più facilmente equilibrate ed equilibrabili, come quella onnivora e
quella vegetariana (adatta specialmente per gli adulti) e ci sono diete meno
equilibrate e più difficilmente equilibrabili, in genere se non ricorrendo alla
farmaceutica (integratori), come quella carnivora e quella vegana.
Dal punto di
vista etico in tutti i casi la vita si nutre di vita, a scapito di vita. Se non
vogliamo determinare arbitrariamente che una vita sia più importante di
un’altra, il principio della compassione – inteso meramente come salvezza di
vita - viene inevitabilmente smentito. Anche digerendo uccidiamo. Anche
respirando uccidiamo! Per il solo fatto che nasciamo non possiamo essere ad
impatto zero: quindi la gara a chi è più puro non ha senso. Ovvio che gli allevamenti
intensivi, l’industria violenta del cibo, ma anche l’agricoltura estensiva
(specie di soia), andrebbero boicottati.
La crudeltà non ha senso mai. Teniamo comunque presente che il business è un
fenomeno che caratterizza entrambe le industrie: quella delle carni e quelle
del biologico-vegan-soia. Ovvio che dal punto di vista salutistico cercheremo
di regolarci al meglio: cibi bio, filiera corta, l’orto, il contadino ed,
eventualmente, il macellaio di fiducia.
Sul piano
spirituale nessuna grande tradizione indica una dieta vegana: tutte
raccomandano – salvo talune proibizioni – una dieta equilibrata onnivora o
vegetariana. Spesso per questioni sociali o devozionali. Talune religioni
indicano modalità di coltivazione e di macellazione, ma non indicano
necessariamente una dieta vegetariana.
L’unica
tradizione che indica una dieta funzionale alla meditazione, escludendo talune
scuole tantriche piuttosto estreme, è quella indiana, per la precisione ayurvedica,
che suggerisce una dieta “sattvica” (che di fatto costituisce una dieta
vegetariana equilibrata).
Il mio
suggerimento per le persone che fanno meditazione – salvo poi che ognuno farà
le sue scelte personali – è di adottare una dieta onnivora o vegetariana,
ovvero diete equilibrate e facilmente equilibrabili (ad esempio nel caso
dell’onnivorismo la scelta di seguire la piramide mediterranea). Suggerisco
anche di saltare una cena alla settimana e di fare un digiuno (liquido) di 24
ore al mese, a meno che non si abbiano controindicazioni da parte del medico.
Per predisporsi al meglio alla meditazione suggerisco di seguire una dieta
sattvica.
La dieta “sattvica” (a grandi
linee)
- Verdure e
frutta crude, se necessario, poco cotte, coltivate biologicamente e non
transgeniche; limitate erbe aromatiche e spezie; succhi;
- Cereali
integrali e semi grezzi macinati e inzuppati d'acqua;
- Legumi,
cereali e semi crudi in germoglio; riso, farro frumento;
- Yogurt,
siero di latte, latte fresco biologico (in quantità moderate) e ghee (in
piccole quantità), tutti prodotti da mucche rispettate e dopo che hanno
allattato i loro piccoli, miele d’api e di altri tipi;
- Olio crudo
(spremuto a freddo) come condimento;
- Noci,
mandorle (non tostate), polpa e acqua di cocco (per coloro che vivono nelle
zone tropicali);
- Acqua pura
MAI FREDDA (anzi meglio tiepida) consumata possibilmente prima e dopo i pasti.
Una dieta sattvica:
- nutre il corpo e la mente
- conferisce calma e sicurezza interiore
- sviluppa una mente equilibrata, calma e pacifica
- promuove l’autostima, sicurezza e fiducia in se stessi
- sviluppa tolleranza e generosità
- dona salute fisica e mentale, vigore e forza fisica,
- accresce specificatamente il senso di soddisfazione e l’equilibrio
- rinforza e rende armoniosa la voce
- incrementa ojas.
PS: Ojas significa “forza”, “vigore”, “potere”, “energia”, “vitalità”. Ojas può essere considerata l’essenza più sottile che viene estratta dal cibo.
sabato 26 novembre 2016
Medium: un delirio “spirituale”
Un nostro caro viene a mancare. Magari persino improvvisamente, inaspettatamente. Il dolore, lo sconforto, l’incredulità. La perdita. Il vuoto incolmabile. Inutili, sebbene graditi e di qualche aiuto, le belle parole di circostanza e di conforto, gli abbracci, i gesti d’affetto, la consolazione di amici, famigliari, del prete. Ma, in fondo, niente può lenire questo dolore. Nel tempo si incontrano persone, taluni ci consigliano di andare avanti, rifarci una vita, pensare al futuro, tenere a mente i bei ricordi. Altri ancora ci suggeriscono il conforto della preghiera, della religione, di Dio. Già… Dio, quello stesso Dio che ha permesso tutto questo, che permette la sofferenza, la morte. Mille domande. La morte… Sorella morte. Ma ci sarà qualcosa dopo? Ci sarà davvero un’altra vita? Il mio caro scomparso c’è ancora da qualche parte? Mi vede? Mi sente? È davvero lassù? Vogliamo crederlo. Vogliamo saperlo. Dobbiamo saperlo. Lo riabbracceremo? Lo rivedremo?
Ed ecco che di fronte a noi si aprono strade insperate: abbiamo bisogno di conforto, abbiamo bisogno di credere, abbiamo bisogno di colmare questo vuoto, non possiamo accettare che questo sia davvero accaduto. Rivogliamo il nostro caro. A tutti i costi. Vogliamo rivederlo, parlargli, dirgli quella cosa che non abbiamo fatto in tempo a dirgli. E se magari anche lui avesse qualcosa da dirci? Qualche sospeso? Prenderla con filosofia non ci basta. Non ci bastano le parole del parroco, né quelle dello psicologo: ci offendiamo, anzi, se qualcuno ce lo consiglia. Non vogliamo sentire ragioni, non ci interessa, in fondo, sapere la verità e inoltrarci in un cammino spirituale, no. Ci interessa solo sapere quello che vogliamo sapere: sentirci dire quello che vogliamo sentire. Non solo! Vogliamo certezze, vogliamo credere che sia possibile l’impossibile: rivogliamo il nostro caro e vogliamo convincerci definitivamente che lui c’è, esiste ancora da qualche parte, che noi stessi alla nostra morte ci saremo, che non sarà tutto finito, che ci rivedremo. Che possiamo rivederci ora. E me lo voglio sentir dire da lui! Io voglio lui. Ascoltarlo ancora, sentirlo, avere segni inconfutabili. Qualcuno ci dia segni inconfutabili! Noi, al centro dei nostri bisogni, non vediamo altro: non ci interessa la verità, ma la verità più bella. Non ci interessa sapere che dobbiamo noi ricominciare a vivere e lasciare che lui, il nostro caro, faccia il suo viaggio sereno, no! Deve stare qui con noi. E noi con lui. Non possiamo tradirci altrimenti. Vogliamo solo sapere che c’è. E che starà con noi sempre. Adesso. E vogliamo sapere finalmente che l’aldilà esiste.
Ed ecco che, prima o poi, il triste, inquietante, morboso miraggio si presenta. Il “medium”. Più spesso la “medium”. Così come quando cerchiamo un “guru” (e il vero guru è sempre quello che più ci fa godere della beatitudine con uno schiocco di dita, che ci coccola (anche trattandoci male, perchè a noi piace!) e ci dà le prove che è tutto vero, sempre attraverso esperienze – siano esse banali o raffinatissime - riferite comunque al nostro io goloso e ai nostri bisogni, perché alla fine, tristemente, si misura tutto e sempre con quel metro), lei, la medium, ci dà le certezze di cui abbiamo bisogno. Il nostro caro defunto è qui con noi! Non solo: lei ci fa parlare con lui. Ci inoltra i suoi messaggi. È vero! È vero! “Solo lui sapeva quella cosa, solo io e lui sapevamo e lei me lo ha detto! Lei mi manda i suoi messaggi!”. Non solo suoi, anche di altri, di altri nostri amici e parenti, perché no? La porta è aperta. Avanti! Avanti! Siamo tutti qui! Finalmente lo sappiamo! Ci parliamo! E la medium, santa donna, così brava, così convinta e convincente, accondiscendente, che ci dona (molto più spesso vende) felicità e sicurezza. Sarà la nostra guida spirituale, l’unica che ascolteremo, ogni mese, ma no, ogni settimana, tutti i giorni! E parleremo con i nostri amati morti che ci diranno cose stupende e amorevoli. Ci rimprovereranno anche, ci guideranno. E staremo con loro, e loro con noi. E con la medium, nostra benefattrice. E avremo così scoperto la verità: quella che ci piaceva tanto, che tanto abbiamo cercato. Sperimenteremo il soprannaturale per davvero. Sperimenteremo… con l’aiuto dei nostri cari che ci solleveranno da ogni pena, da ogni paura e ci daranno risposte, quelle di cui abbiamo bisogno. Noi. Nient’altro importa. Ci siamo solo noi, i nostri bisogni, i nostri problemi esistenziali e spirituali che vogliamo risolvere a modo nostro, come ci piace a noi. Non vogliamo sentire altro, non ci interessa altro. Ci dicono che dobbiamo superare il lutto? No, non senza di loro. Che dobbiamo lasciarli andare, in fondo forse anche loro avranno il loro viaggio? Ve lo abbiamo già detto: non ci interessa. Noi li pretendiamo qui, adesso, per sempre. Ne abbiamo il diritto perché soffriamo. E guai a chi metta in dubbio che l’aldilà esista e che sia esattamente questo, o che i nostri cari continuino a vivere esattamente come a noi ci piace che sia.
Con loro, con i loro messaggi e segni, sapremo come stanno le cose, avremo le certezze che ci servivano. Ci sarebbe bastato il loro ricordo? Meditare sui valori che ci hanno insegnato? Riflettere quindi sulla vita, sull’aldiqua più che sulla morte e sull’aldilà? Tenere ai nostri cari vivi di più e meglio, ringraziando e lasciando andare i nostri cari morti di cui conserveremo il sereno ricordo? No, non ci sarebbe bastato. Il nostro famelico ego vuole sentirsi vittorioso sulla morte, vuole vincere il mistero, vuole che loro stiano con noi e che ci parlino, che ci dicano, che ci convincano. Che ci amino sempre: loro! Non il ricordo, non ce ne facciamo niente del ricordo né di riflettere, né di crescere nella vita e nella fede. Il nostro ego, che tanto soffre e tanto ha bisogno, non ammette limiti, non conosce confini, andremo dalla medium più potente e convincente: qui e ora parleremo con loro, li tratterremo a nostro piacimento, li interrogheremo. Li ameremo e saremo da loro amati adesso, a tutti i costi. E dovranno essi risponderci, rimanere a disposizione, perché ci vogliono bene. Dovranno stare lì, nella nostra gabbia d’amore, proteggerci, ascoltarci, parlarci attraverso la medium, così brava, così illuminata. Grazie! Grazie!
Con loro, con i loro messaggi e segni, sapremo come stanno le cose, avremo le certezze che ci servivano. Ci sarebbe bastato il loro ricordo? Meditare sui valori che ci hanno insegnato? Riflettere quindi sulla vita, sull’aldiqua più che sulla morte e sull’aldilà? Tenere ai nostri cari vivi di più e meglio, ringraziando e lasciando andare i nostri cari morti di cui conserveremo il sereno ricordo? No, non ci sarebbe bastato. Il nostro famelico ego vuole sentirsi vittorioso sulla morte, vuole vincere il mistero, vuole che loro stiano con noi e che ci parlino, che ci dicano, che ci convincano. Che ci amino sempre: loro! Non il ricordo, non ce ne facciamo niente del ricordo né di riflettere, né di crescere nella vita e nella fede. Il nostro ego, che tanto soffre e tanto ha bisogno, non ammette limiti, non conosce confini, andremo dalla medium più potente e convincente: qui e ora parleremo con loro, li tratterremo a nostro piacimento, li interrogheremo. Li ameremo e saremo da loro amati adesso, a tutti i costi. E dovranno essi risponderci, rimanere a disposizione, perché ci vogliono bene. Dovranno stare lì, nella nostra gabbia d’amore, proteggerci, ascoltarci, parlarci attraverso la medium, così brava, così illuminata. Grazie! Grazie!
martedì 22 novembre 2016
Essere Iniziati
Cosa significa essere un “iniziato”? Cos’è l’iniziazione? In passato si usava molto questo termine, nell’ambito di culti e religioni, vie spirituali e scuole esoteriche, oggi in certi ambienti lo si usa ancora, spesso a sproposito, con ostentazione, talvolta millantando, non di rado esibendo (ed esibendosi in) curiosi titoli iniziatici.
Io non sono un iniziato. Ho esplorato quel mondo, sì ho anche ricevuto “iniziazioni”. Ho rinunciato a tutto questo.
Credo che l’unica iniziazione sia quella a se stessi. Credo che dobbiamo essere iniziati a noi stessi, in noi stessi. Da noi stessi. L’iniziazione – seppur rappresentata anche in forme simboliche, solenni e psicodrammatiche – è sempre stata quello e solo quello: la formalizzazione di una trasmissione che è sensata e reale solo in quanto il proprio percorso e il proprio impegno, quindi i propri conseguimenti interiori, sono autentici. Come sarebbe possibile altrimenti? A quali Miti, Dèi e Misteri votarci se non a noi stessi? Di quale vita e verità essere testimoni e sacerdoti se non della nostra vita, della nostra verità?
Cercate l’iniziazione al vostro mistero, alla vostra vita interiore. Chi è un iniziato? E’ colui che riceve conferimenti spirituali? Da chi? Da un guru? Da Dio? Dagli Alieni? Da un Ordine Tradizionale? Di cosa? Di chi? Ma, anche fosse, per questioni formali e tradizionali, non è forse tale becero esibizionismo il tradimento più grave ai valori di una trasmissione spirituale sacra e solenne? Non dovrebbe essere forse un evento privato, interiore, silenzioso? No, siamo alla fiera delle vanità! Il vero iniziato non è colui che esibisce medaglie bensì colui che in cuor suo consacra consapevolmente e con tutta la sua volontà la propria intera vita alla conoscenza di se stesso, alla conoscenza delle cose, alla ricerca del senso di tutto, all’amore come più alto valore, al perseguimento incondizionato del bene, della giustizia e della verità ad ogni costo. Non cerca il potere bensì studia, ricerca, scopre, discute e ridiscute, rinnova, riscopre, sperimenta, esperisce e vive in saggezza, in pienezza, al di là dei suoi personalismi, del suo egocentrismo, della sua convenienza individualistica, per proiettarsi in un disegno più grande. Ecco l’iniziato, se proprio vogliamo usare questa parola che per me sa così di stantìo, di formale, di vuoto. L’iniziato, questo iniziato, è una persona responsabile. Autentica. Indipendente, se mai interdipendente, ma mai dipendente da così piatte vanità.
Tutti coloro che si dicono “iniziati” a questo o a quell’altro trovano un espediente misterioso, auto incensante, rassicurante e quindi attraente per convincere se stessi e gli altri della loro incomunicabile quanto indiscutibile superiorità, lasciata intendere dietro l’immancabile sbandieramento del “io sono un iniziato”. In verità si ingannano e vengono ingannati e, tra l’altro, sono legati mani e piedi, devono rendere conto, non possono spaziare, non possono rinnovarsi, schiavi del loro bisogno di sentirsi qualcuno. Perché caricarsi di questo peso? Perché pagare un prezzo così alto per colmare il proprio bisogno di considerazione, la propria carenza di autostima, il proprio fallimento esistenziale?
Lasciate stare le iniziazioni, non cercate nulla di tutto questo. Nessuno può darvi o togliervi nulla che non sia o che sia già dentro di voi. Frequentate un insegnamento? Bene, bravi. Ricevete magari un’abilitazione, un permesso ad insegnare quanto voi stessi avete appreso? Un’investitura? Un ruolo? Conseguite una provata conoscenza e capacità? Bene, e dunque? Chi fa l’idraulico può dirsi “iniziato ai misteri dell’acqua”? Chi riceve la tessera Premium è un “iniziato” ai misteri dei programmi esclusivi di Sky? Suvvia… Non fregiatevi di ridicole lauree spirituali, non sottomettete la vostra intelligenza alla devozione a guru, scuole, dottrine e dogmi che vi incatenano, prima affascinandovi, poi impaurendovi e infine lusingandovi con la vanità di cui all’ego tanto piace bearsi. Non riducetevi a questo, per poi diventare così noiosi e arroganti. Ma guardate dove siete! Come state messi! Quanto vanità, quanta violenza… quanta povertà, quanta pochezza!
No, non sono un iniziato. Non conferisco iniziazioni. E rido quando sento evocare queste vuote insegne. Avete bisogno di fascino, di affascinarvi e di affascinare. Poveri voi. Ma siate voi stessi una buona volta: siate sereni, semplici e andate al sodo, nello studio, nella vostra pratica, nella meditazione, nell’amore per la conoscenza, ma soprattutto nella saggezza che vi rende davvero iniziati alla vita, ma non ai vostri occhi: agli occhi di coloro che ameranno la vostra serenità, la vostra umiltà, la vostra amorevolezza soprattutto, al lato della vostra sapienza non ostentata ma portata davvero con e per amore. Senza insegne. Senza bisogno di nient’altro.
Così la penso. Così mi regolo.
lunedì 24 ottobre 2016
Il Messaggio e il messaggero
Non si tratta di saper spiegare, di saper dire le cose “bene”, in modo bello, avvincente, entusiasmante, assolutamente corretto e perfetto. Ci sono tantissimi comunicatori molto bravi, davvero speciali, capaci di raccontare, spiegare e insegnare molte cose in modo piacevole, vivace ed efficace. Ce ne sono sempre stati, ce ne sono e ce ne saranno sempre. Certo molto più bravi di me, molto più colti ed esperti nel saper comunicare nel modo giusto. Ed è bello vedere che le persone vengono toccate, direi smosse dalle parole ben dette, dai concetti ben spiegati, dalle esortazioni e dalle pratiche ben insegnate.
Spesso questa bravura – nell’era del disimpegno e del tutto subito – fa spostare l’attenzione dal contenuto, cioè dal messaggio in quanto tale che dovrebbe essere il centro della nostra ricerca, alla persona, al buon comunicatore che diventa il nostro preferito, di cui diventiamo fan e di cui seguiamo tutte le lezioni con meraviglia e, quasi, con devozione. Ci piacciono le sue parole, il suo sorriso, il suo modo diretto e chiaro di spiegare. Anche la comparazione tra ciò che preferiamo seguire e ciò che sentiamo come meno interessante per noi non è più sul piano dei contenuti, bensì sul personaggio. Non più sul messaggio, ma sul messaggero… a prescindere!
Quando mi dite (alcuni me lo dicono, ad altri risulto invece insopportabilmente noioso): “Come spieghi bene, Carlo, che bravo…”, ecco in quel momento sento di aver proprio fallito nel mio intento di condividere, umilmente si intende, un insegnamento. Infatti, poi mi parlate di questo o di quell’altro oratore, se li conosco, chi possa io consigliarvi. “Ti piace il tale?”, “che ne pensi di…?”. E io subito vi chiedo: “Cosa dice?” – fine della conversazione perché di solito ricevo un vago: “beh, tante cose…”. Certo, è vero, ci sono brillanti oratori ai quali devo molta gratitudine e che io stesso seguo e raccomando, ma il punto non deve essere l’oratore. E’ importante, sicuro, perché se l’oratore è confusionario, impacciato, poco chiaro, troppo immerso nel suo sentire e poco attento a stabilire con i suoi ascoltatori e allievi un contatto, siamo tutti d’accordo nell’ammettere che possa risultare difficoltoso seguirlo, tuttavia il punto, che va comunque ritenuto prioritario e prevalente, è il contenuto, ovvero l’insegnamento, potrei dire l’energia che contraddistingue quel messaggio, quel corpo di conoscenze che deve essere l’oggetto principale dei nostri commenti e delle nostre riflessioni, dei nostri entusiasmi così come delle nostre delusioni.
A prescindere dal personaggio che può risultarci brillante o meno, più o meno abile nel comunicare, più o meno “piacione”, antipatico o simpatico. Chiedetemi che cosa potrei consigliarvi di seguire, di studiare, di praticare, non da chi andare alla prossima conferenza. Chiedetemi se il tal concetto mi vede d’accordo o meno, non come vedo il tale o il tal’altro. Riportate l’attenzione sui contenuti, a volte difficili, impegnativi e scomodi, portati da un maestro magari altrettanto difficile, impegnativo e scomodo, che forse non vi lusinga, che non vi seduce, che talvolta vi annoia ribadendo cose che presumete di aver capito perfettamente. E riportate l’attenzione a voi stessi, al vostro sentire profondo e non alla mente curiosa che cerca incanti e suggestioni per divertirsi. Il messaggio e il vostro sentire: ecco ciò che è più importante.
lunedì 17 ottobre 2016
Homo Sapiens Sapiens: speriamo che si estingua al più presto.
Sul canale Nove mi è capitato di seguire un programma di divulgazione scientifica condotto da Giancarlo Giannini. Un particolare servizio ci informava pubblicamente e senza mezzi termini che oggi una speciale équipe di scienziati – astronomi, matematici, fisici (tra i quali il noto Michio Kaku, astrofisico) – è impegnata nel progetto di “evacuazione del pianeta”: si stanno individuando le migliori strategie per abbandonare la Terra, a bordo di potenti astronavi, alla volta del più vicino pianeta selezionato per ospitare la continuità dell’essere umano, dalle parti di Alpha Centauri. Bisogna, tra le tante cose, capire se inviare un equipaggio di adulti in stato di veglia (forse però in un viaggio previsto di circa 42 anni darebbero di matto), oppure se spedirli in uno stato di coma indotto, o se risolvere il problema inviando feti o embrioni. Potete trovare questo servizio – tra gli altri - online: http://it.dplay.com/giancarlo-giannini-racconta-la-meraviglia-della-scienza/stagione-1-episodio-2/
Il dato comunque interessante è che ormai non si parla più di salvare questo pianeta, ritenuto spacciato, ma, con toni sereni quanto sconcertanti, di proseguire altrove l’esperienza umana: evacuare la Terra e andare su altri pianeti (a far danno, aggiungo io). Gli scienziati ritengono questo pianeta – e questa umanità – sulla strada dell’inevitabile distruzione ed estinzione ad opera dell’uomo stesso: tutti i previsti punti di non ritorno sarebbero stati ormai abbondantemente oltrepassati.
Io la vedo diversamente. Sono pienamente d’accordo con questa analisi, purtroppo. Tuttavia la soluzione proposta da questi sapientoni mi sembra inverosimile, oltre che inquietante. Tutto questo mi ha fatto pensare a qualcosa di bizzarro.
Penso che la specie umana si stia distinguendo in due rami: un essere umano che rimane homo sapiens sapiens, ignorante, primitivo e portatore di distruzione, destinato all’estinzione. E un homo che potremmo chiamare spiritualis: una nuova specie destinata all’evoluzione, non per evacuazione, ma per trasmigrazione spirituale su altri piani – più evoluti – del possibile. Stando alla mia ipotesi, a questo punto spero solamente che l’homo sapiens sapiens, specie inferiore, infestante e deleteria, si sbrighi ad autodistruggersi: che si estingua al più presto, prima di distruggere definitivamente la Natura e questo ancora meraviglioso pianeta (quello stesso pomeriggio mi capitò di vedere uno stupendo documentario su Geo&Geo: restai ammirato di quanta bellezza ancora sopravvive!). Spero che l’uomo moderno (il sapiens sapiens, appunto) non si estingua per effetto della distruzione del pianeta, ma prima di devastarlo definitivamente, per auto-annientamento. D’altro canto, l’homo spiritualis, ovvero la nuova specie in via di definizione, vibrerà altrove (tanto per rifarmi al titolo di un mio recente libro) e, se vorrà, potrà ammirare o tornare ad abitare su una Terra finalmente disinfettata e rigogliosa di vita e meraviglie.
Come si dice: homo sapiens sapiens, o t’elevi o.. te levi. Grazie.
giovedì 13 ottobre 2016
La Spiritualità Sconveniente
La spiritualità è vera quando non conviene. Perché la spiritualità vera non serve a niente e a nessuno e, soprattutto, non serve niente e nessuno. Allora ecco che, rispettata questa condizione di non funzionalità e di non convenienza nella più evidente e immediata percezione della vita, la spiritualità può dirsi vera: vera perché stra-ordinaria, perché non risponde a nessuna esigenza o necessità ordinaria né alle nostre valutazioni e ai nostri calcoli personali. Qual è la “convenienza evidente”? Facile dirlo: la sopravvivenza, l’appagamento, l’interesse, il successo, il possesso.
Soldi, Sesso e Successo, what else? Tutto questo prima di tutto in funzione personale (la mia sopravvivenza, il mio appagamento, il mio interesse, il mio vantaggio, il mio successo, ciò che io posseggo e difendo, il mio divertimento, il mio potere) e poi per la nostra ristretta cerchia: la famiglia, le amicizie (prima quelle selezionate in funzione dell’opportunità e della convenienza, si intende, poi vengono le altre, quelle per il proprio piacere, e comunque non usciamo dalla logica della convenienza), poi le conoscenze utili e gli altri, va bé... a un bel momento che se la vedano un po'... Benissimo. E' ovvio, naturale, niente di male: è la logica secondo un modello di vita, evidente, concreto. Anche l’amore è sempre più diventato tutto sommato un calcolo: quella persona la amo perché mi dà dei vantaggi, mi fa stare bene, mi dà sicurezza, è ricca, è bella quindi mi fa fare bella figura in pubblico, è simpatica quindi mi dà soddisfazione (e mi dà soddisfazione quindi mi è simpatica), ci faccio bene all’amore, mi fa godere. In fondo la logica è sempre (o sempre di più) quella della convenienza: la convenienza evidentemente legata al concetto di vita che oggi abbiamo, che è cosa molto misera, molto fisica, materica, sensoriale, ego-centrata. Primitiva direi.
Ecco, la spiritualità non ha nulla a che fare con questa logica. La spiritualità è profondamente “sconveniente”: non serve a niente e non serve niente. Non serve a nessuno e non serve nessuno. Non serve. Perché la spiritualità è libertà, è gratuità, è portarsi all’altro, è dovere, è trascendenza. E’ superamento della logica dell’animale, che cerca, che accumula, che vuole, che desidera, che lotta, che fugge, che attacca. E’ superamento della logica dell’uomo quando si intende come animale intellettuale il cui risultato è un essere fasullo, arrogante e distruttivo. Ego-centrato. Infantile. Incapace di verità. La spiritualità è verità e come tale non può diventare uno “strumento per”. E' gioco come quando eravamo bambini: il gioco non serviva per qualcosa, non c'era attaccamento, niente malizia, solo passione: si giocava e basta. Vi ricordate? Riesco a spiegarmi? La spiritualità è proprio come quel gioco, proprio come l’amore: perché la spiritualità è amore. Se segue la “convenienza”, il calcolo, il potere, le ovvie priorità della’uomo-bestia, è un gioco noioso, serioso, ansiogeno: non è spiritualità. E' un prodotto, un mezzo, qualcosa forse di bello e utile, ma non è spiritualità, non è ricerca interiore.
Non c’è una spiritualità vera e spiritualità fasulla: o è spiritualità o non lo è. Lo è proprio quando è la cosa più assurda, non ovvia ed evidentemente sconveniente cui si possa pensare. E' semplicemente una cosa bellissima. Insignificante e inutile. Quanto di più fondamentale serve oggi a tutti noi. Sapremo capirlo?
lunedì 5 settembre 2016
Io, Carlo Dorofatti, a quali bisogni rispondo? Cosa ho da dire? Cosa ho da dare?
Da tanti, tanti, anni studio, faccio ricerche e vivo
esperienze che riguardano quel fondamentale sapere
- causa, principio e fine – e quell’indispensabile consapevolezza interiore e profonda che per me sono, molto più che
indagine di facoltà e poteri, domanda di senso, ricerca etica, soluzione all’esistere.
L’esoterismo, la metafisica, la filosofia, talune ricerche di
frontiera (ad esempio archeologiche o ufologiche), l’indagine di una
sensibilità altra, la ricerca di
misteriosi “saperi” altro non sono stati che mezzi, incontri, a volte insidie, del
tutto secondari, per quanto affascinanti e spesso di grande apertura e stimolo.
Sono un ricercatore libero, che si è fatto da solo la sua cultura (non ho fatto
il classico e non sono laureato: sono un ragioniere se proprio vogliamo
specificarlo, quindi non chiamatemi professore, dottore né tanto meno maestro).
Sono libero e indipendente. E amo condividere la mia esperienza: amo studiare e
scoprire. Amo insegnare, per quello che posso. Amo il dialogo, il confronto, lo
scambio, il convivio. Tengo molte
conferenze, conduco incontri e gruppi di meditazione, faccio formazione attraverso
i corsi dell’Accademia che ho fondato.
A chi mi rivolgo? A quale bisogno intendo rispondere o, per
lo meno, che penso di saper prendere in considerazione? A quali risoluzioni posso
contribuire?
Posso
guarirti? No. Non posso guarirti.
Posso rivelarti il futuro? No.
Posso dirti chi eri nelle vite precedenti? No.
Posso rivelarti il mistero della vita e dell’universo? No. Non posso fare neanche quello.
Posso risolvere i tuoi problemi? No. Non posso farlo.
Posso risvegliare in te poteri soprannaturali? No.
Posso spiegarti il soprannaturale? No.
Sono dotato di poteri soprannaturali? Certo che no.
Posso farti vivere grandi esperienze, produrre fenomeni e suggestioni? Certo. Ma non chiedermelo: non lo faccio.
Posso consolarti per i tuoi dolori e le tue sofferenze? Sì. Quello lo posso fare. Ma non posso risolverti i problemi. Non posso evitarteli. Non posso toglierti il dolore e la sofferenza. Non posso darti o prometterti una vita felice.
Posso trasmetterti conoscenze e tecniche di consapevolezza? Sì, ma non è quello il punto. Non è il punto centrale del mio ruolo.
Posso rivelarti il futuro? No.
Posso dirti chi eri nelle vite precedenti? No.
Posso rivelarti il mistero della vita e dell’universo? No. Non posso fare neanche quello.
Posso risolvere i tuoi problemi? No. Non posso farlo.
Posso risvegliare in te poteri soprannaturali? No.
Posso spiegarti il soprannaturale? No.
Sono dotato di poteri soprannaturali? Certo che no.
Posso farti vivere grandi esperienze, produrre fenomeni e suggestioni? Certo. Ma non chiedermelo: non lo faccio.
Posso consolarti per i tuoi dolori e le tue sofferenze? Sì. Quello lo posso fare. Ma non posso risolverti i problemi. Non posso evitarteli. Non posso toglierti il dolore e la sofferenza. Non posso darti o prometterti una vita felice.
Posso trasmetterti conoscenze e tecniche di consapevolezza? Sì, ma non è quello il punto. Non è il punto centrale del mio ruolo.
Sai cosa
posso fare?
Posso darti uno “sguardo”.
Posso darti uno “sguardo”.
Cioè posso darti un modo di guardare le cose: di guardare te
stesso, la vita, il mondo. Ecco cosa posso darti: un nuovo sguardo, un modo
diverso di vedere. Posso darti un modo di vedere le cose, un modo che possiamo
definire spirituale. Un modo di
guardare che ispirerà un’etica di vita, una possibilità di scelta, un orientamento
esistenziale volto a ciò che potrà diventare volontà di bene, di giustizia e di
amore. E da lì – secondo il tuo sentire – potrai fare la tua parte: pur
soffrendo, pur attraversando mille difficoltà, vivendo la bellezza così come la
tragedia del mondo, saprai fare la tua parte come Uomo, come Donna, come Essere
Umano capace di intelligenza, coscienza e trascendenza, trovando senso, dando
senso a questa vita materiale così ambigua eppure gravida di senso e di
bellezza, andando oltre i veli dei sensi, oltre le illusioni del corpo, della
mente e della morte. Senza paura della sofferenza. Senza paura dell’incertezza.
Niente zuccherini: accettiamo pienamente questa “passione”, così evidente ed
insistente al di là di qualsiasi sofisma, ma che è il dischiudersi di una
fioritura nella quale, come è stato rivelato, possiamo e dobbiamo credere. Che,
anzi, dico io, possiamo determinare!
Ecco a cosa rispondo. Rispondo al bisogno di vedere: non di potere. Non di felicità,
guarigione e prosperità. Ecco cosa ritengo possibile darti: posso dotarti di uno
sguardo. Di un vedere che ti doni la forza di una rinnovata fede, come fiducia nell’umanità e nel mondo. Come fiducia nel senso
della tua Vita.
sabato 13 agosto 2016
Non c’è più rispetto!
Talvolta inevitabilmente mi capita di esprimere un’opinione negativa su qualsivoglia forma di religione, sia in linea generale, sia entrando nel merito di taluni contenuti dottrinali o teologici, sia quando si tratta di considerarne la storia, dal terribile passato al subdolo presente.
Quando, anche pacatamente, esprimo la mia critica, puntualmente qualcuno, non un rappresentante della religione in questione ma un “fedele”, neanche tra quelli che ci credono davvero fino in fondo, interviene. Senza che io mi sia rivolto a lui in particolare o che mi senta nella posizione o nell’intenzione di convincerlo di alcunché, mi richiama al RISPETTO. “Eh, ma ci vuole rispetto!”: in quel momento i cattolici della domenica diventano curiosamente i paladini dell’etica e della correttezza, a difesa del loro credo (fantastici quando difendono l’Islam!). A parte il fatto che, appunto, neanche loro sono poi così convinti e seri nel momento in cui si entrasse davvero nel merito di ciò di cui si sta parlando, io chiedo: verso chi e verso cosa manco di rispetto? Verso chi e verso cosa dovrei rispetto?
- Verso Dio? Quando parlo di religioni non parlo di Dio, né di spiritualità. Sono due cose molto diverse sebbene le religioni ne usino, sempre più indebitamente, il nome.
- Verso chi crede? Ognuno è libero di scegliere o di accettare la fede che vuole, tra l’altro di solito sempre molto personalizzata. Molto irrispettosamente direi. Ma non entro nel merito delle scelte personali, gusti son gusti.
- Verso la religione? La Chiesa? Verso quei personaggi nullafacenti (ma molto tenenti) che si vestono in modo buffo? Spesso beccati con le mani nella cassetta delle offerte o nelle mutande di qualche ragazzino?
Ok parliamo di questo. Ma voglio farlo in modo generale, a monte di qualsiasi altra considerazione (e ce ne sarebbero!). Fondamentalmente per me le religioni sono portatrici di ignoranza, ipocrisia e manipolazione, con tutte le conseguenze sociali, economiche e geopolitiche che conosciamo purtroppo da millenni. Diventano immancabilmente strumento di violenza, morte e giustificazione. Dietro di esse si muovono interessi materialistici colossali e non certo per la salvezza dell’umanità. Le religioni sono sempre state e restano un affronto alla dignità e all’intelligenza umana. No: alle religioni, alle chiese e ai loro teologi non posso accordare, men che meno all’insegna del “volemose bene”, alcun rispetto. Vi dirò di più: se proprio ci tenete è da loro che dovreste pretendere rispetto! Ah, si sono scusati? Ah, ma i cattivelli sono solo una minima parte? Purtroppo non sono ancora riusciti oggigiorno a meritare il mio rispetto. Le religioni… che piaga! Ipnosi e sedazione collettiva al servizio dei potenti della Terra che solo sanno servire l’unico grande e vero dio in cui credono: il denaro! Altro che… Pretendete da loro rispetto!
Del resto non mi sembra che Gesù, sì proprio il vostro caro buon Gesù, andasse tanto per il sottile coi preti.
Leggiamo Matteo, 23:
" .. legano dei fardelli pesanti e li mettono sulle spalle della gente; ma loro non li vogliono muovere neppure con un dito. 5 Tutte le loro opere le fanno per essere osservati dagli uomini; infatti allargano le loro filatterie e allungano le frange dei mantelli;6 amano i primi posti nei conviti, i primi seggi nelle sinagoghe, 7 i saluti nelle piazze ed essere chiamati dalla gente: "Rabbì!
… Ma guai a voi, scribi e farisei ipocriti, perché serrate il regno dei cieli davanti alla gente; poiché non vi entrate voi, né lasciate entrare quelli che cercano di entrare.
14 [Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, perché divorate le case delle vedove e fate lunghe preghiere per mettervi in mostra; perciò riceverete maggior condanna.]
…Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, perché pulite l'esterno del bicchiere e del piatto, mentre dentro sono pieni di rapina e d'intemperanza…
..Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, perché siete simili a sepolcri imbiancati, che appaiono belli di fuori, ma dentro sono pieni d'ossa di morti e d'ogni immondizia. 28 Così anche voi, di fuori sembrate giusti alla gente; ma dentro siete pieni d'ipocrisia e d'iniquità…
29 Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, perché costruite i sepolcri ai profeti e adornate le tombe dei giusti 30 e dite: "Se fossimo vissuti ai tempi dei nostri padri, non saremmo stati loro complici nello spargere il sangue dei profeti!" 31 In tal modo voi testimoniate contro voi stessi, di essere figli di coloro che uccisero i profeti. 32 E colmate pure la misura dei vostri padri! 33 Serpenti, razza di vipere..
…ricada su di voi tutto il sangue sparso sulla terra…"
Eh, mio caro Gesù, va bene che sei Gesù, però un po’ di rispetto!
Non crucciatevi: non tocco la vostra fede, il vostro dio. Non preoccupatevi per me se dico cose sconvenienti. Mi spiace, non è neanche mia intenzione farvi fare brutta figura se “gli altri” sanno che mi conoscete o che mi frequentate. Comunque, non temete: se mi invitate alla festa del patrono e dovessi trovarmi il prete a tavola mi saprei comportare. Non credo si entrerebbe in argomento: di solito se magna e se beve… un po’ di politica, un po’ di banalità, qualche favore reciproco, due ruttini – rispettosamente interni – e il carrozzone va avanti. “Fai quello che il prete dice, non fare quello che il prete fa”… che stile! La faccia è salva.
Veniteeee Fedeeliiiii…
sabato 6 agosto 2016
Realizzare o raccontare?
La volontà di ricerca spirituale
può significare molte cose diverse per ognuno di noi: anche questo fa parte
della ricerca e della vita spirituale, ovvero comprenderne il senso stesso. Può
significare risvegliarsi dal sonno della coscienza, che è etica e capacità di
visione, consapevolezza di sé e quindi della propria motivazione esistenziale,
adesione ad un grande disegno che va oltre se stessi, profondità di significato
e trascendimento. E tanto di più o, se preferite, tanto di meno. Lo sappiamo,
non ci sono parole. Più se ne aggiungono più ci si allontana da quello che, nel
silenzio, si può avvertire. È qualcosa di molto diverso da un’altra ricerca
qualsiasi. Esige logiche diverse, non ordinarie, paradossali. E ancora nulla di
tutto questo. Però, una cosa dobbiamo pur ammetterla: quanto si realizza – e
non parlo in termini di acquisizione, di potere, di possesso – dipende dalla
nostra disposizione d’animo. Non voglio neanche dire che dipenda da cosa
facciamo o non facciamo, da quello che scegliamo, dalla disciplina che ci
diamo, dall’impegno che ci mettiamo: queste sono eventualmente considerazioni
successive. Mi basta parlare dell’essenziale: la disposizione d’animo.
La
disposizione d’animo è quella postura interiore con la quale non possiamo
barare: non possiamo raccontarcela. Siamo sinceramente e opportunamente
“disposti” oppure no? Se lo siamo – e questo si tradurrà in cose molto concrete
e visibili – potremo realizzare. Se non lo siamo, non potremo realizzare. Se
sappiamo di non esserlo – e lo sappiamo – inutile provare o chiedere di
realizzare. Forse non è il momento. Forse non abbiamo le idee chiare. Forse non
ci rendiamo ancora conto, del resto con le facilonerie new-age che ci educano
al disimpegno costante ci ritroviamo spesso ad aver bisogno di reinquadrare
bene questa faccenda con la dovuta calma e lucidità. Se non lo siamo, la mente
- ma soprattutto il corpo - ci darà dei segnali. E tuttavia la ricerca
spirituale è inamovibile: se non siamo intimamente “disposti”, pronti ad
assegnarle il massimo valore, si ritrarrà da noi, naturalmente. Meglio quindi
evitare vie di mezzo, anche se difficile, perché non farebbero che illuderci.
Oppure, finalmente, decidiamo di ammettere quanto serio sia il nostro intento.
A quel punto risulta chiara una
necessità molto precisa e concreta: uscire dalla propria “zona di comfort”. Sì
perché la vita è là fuori. Potrà essere difficile, impegnativo, fastidioso,
potrebbe sembrare impossibile, ma è l’unica cosa concreta e indispensabile da fare: la verità,
l’illuminazione, ce la dobbiamo andare a prendere là fuori. Significa uscire
dalle proprie abitudini, convinzioni, certezze, equilibri. La zona di comfort
ce la siamo costruita per comodità, funzionalità e difesa. Ma lì dentro non
potremo che soffocare. Soffochiamo in una vita illusoria, non reale. Lì dentro
c’è solo morte, molto forbita, colta, appariscente, appagante, ma è morte.
Il problema è che siamo sempre
convinti di cercare la verità lì dentro, oppure di accomodarcela in qualche
modo. Pensiamo di adattarla alle nostre esigenze, preferenze e convenienze
senza minimamente pensare di spostarci fuori dalla nostra nicchia: e ce la
raccontiamo. Così anche la verità più speciale, le tecniche, le pratiche, le
discipline, le ricerche più autentiche diventano illusioni: appena entrano
nella zona di comfort diventano inganni e la loro energia vitale si spegne.
Iniziano così le elucubrazioni, gli accomodamenti, le suggestioni, i grandi
discorsi e le grandi esperienze, ma nulla è reale. Invece, piccole cose ma per
le quali siamo disposti a spostarci fuori sono le vere perle che ci faranno
crescere: perché siamo disposti ad espanderci. A uscire da noi stessi e da
quell’angusta gabbia dorata. La verità bisogna andarla a cercare là fuori.
Bisogna andarsela a prendere là fuori! Allora ci darà forza, energia, crescita.
Vita. Perché oltre la nostra zona di comfort c’è la vita. Essere “Iniziati”
significa vivere la vita, allargandosi, espande dosi attraverso anche le cose
più normali e semplici. Ma vere. Raccontarsela significa coltivare grandi
saperi e grandi discipline che però ci portiamo dentro la nostra vita fasulla:
ce le sistemiamo lì dentro, trasformandole in illusioni e in morte. Preferirei
mille volte avere a che fare con un semplice che però vive là fuori, che però è
“Iniziato” a questo mistero, piuttosto che con grandi scienziati, filosofi,
sapienti e cabalisti che non sono altro che morti che portano morte, asfissia,
distruzione (e infatti lo vediamo dove ci hanno portato questi grandi
sapientoni).
Potete fare tutti i corsi, leggere
tutti i libri, prendere tutte le lauree, fare tutti gli atti psicomagici che
volete: se state nella zona di comfort nulla è reale. Comprate solo prodotti
per l’ego, la mente, l’illusione da venditori altrettanto fasulli e irreali.
Sono solo illusioni. Se invece capite la portata del vostro intento e decidete
di “fare sul serio”, capirete bene cosa significa, e cosa implica, muoversi
davvero, impegnarsi, spazzare via le comode risposte new-age, passare dalla porta stretta e cominciare
non già a realizzare i vostri intenti spirituali, ma proprio a vivere.
domenica 31 luglio 2016
Salvare il mondo? Salvare l’umanità? Salvarsi il culo? Non pensarci neanche. Fai il tuo e stai sul pezzo.
Devo tornare su alcune note dolenti. È necessario: vedo attorno a me troppa ingenuità. Osserviamo quello che sta accadendo nel nostro quartiere, nella nostra città, in Italia, nel mondo. Osserviamo le persone. Guardiamo perfino la TV, non tanto per credere a quello che dice ma per farci un’idea del livello. Manipolazioni politiche, sociali, economiche, religiose. Guerra, inquinamento, degrado, nel mondo e nell’uomo. Ogni tentativo di svolta facilmente intercettato, sedato, strumentalizzato. Il punto di non ritorno è stato oltrepassato da un pezzo. Nuovi movimenti e partiti politici che pensano di cambiare le cose? Nuove comunità ed eco-villaggi nei quali si pensa di rinchiudersi per sottrarsi da questa realtà, che poi la replicano al loro interno peggio che mai? Ingenuità. Se non droghe. Se non furberie alternative. Suicidi virtuali che si aggiungono a quelli reali. Il fatto è che non se ne viene fuori. E che ne siamo tutti responsabili. L’unica cosa che possiamo fare è essere testimoni di tutto questo. Prenderne atto. Viverlo quotidianamente per quello che è. Non fuggirne e non pensare di poterlo cambiare. Troppo tardi. Non pensare neanche di doverlo cambiare. Non pensare di dovere né di potere “salvare il mondo”. Non si può. L’unica cosa da fare è essere individui – ognuno per sé – che vivono in questa Storia, ma che, appunto individualmente e responsabilmente, scelgono di comportarsi con gentilezza, nobiltà d’animo, etica, per essere portatori - attraverso il loro modo di essere e di vivere, attraverso, per quanto possibile, le loro scelte e i loro modi -, di gentilezza, nobiltà, dignità e lungimiranza. Ognuno lavorando in sé, per sé. Partecipe della realtà che lo circonda immediatamente. Testimone indifferente di tutto il resto per cui nulla può fare. E se lavorando su di sé saprà, come naturale conseguenza e non perché se lo debba porre come obbiettivo, migliorare la realtà là fuori, tanto meglio. È l’unica strada per poterlo fare, del resto. L’individuo. Con il suo cammino di conoscenza e di consapevolezza. Con il suo cammino che amo definire spirituale, ma squisitamente personale, fiducioso in un più ampio disegno che può cogliere e determinare solo dal di dentro di sé stesso. Non borghi, non comunità, non nuovi partiti, non gesta eclatanti. Senza aggregarsi, senza organizzare progetti di salvezza, vanità nella vanità.
Fai il tuo. Conosci, scopri, impara, sii testimone di buona volontà e di amore, di gentilezza e di saggezza, per quanto puoi fino in fondo. Sicuramente capiterà che ti ritroverai tra amici che pensano come te, ma non dimenticare che tu devi e puoi fare solo il tuo. Non fuggendo dal mondo o creando isole felici: stai qui. Non progettando di cambiare le cose. Non impegnandoti in campagne di salvezza. Sii testimone, esempio vivente di una consapevolezza misteriosa, non lamentarti e non farti impressionare troppo. Così facendo (e non facendo) non potrai che portare del bene. Senza attaccamento. Tira un bel respiro e fai il tuo, su te stesso, per te stesso, portando avanti in prima persona la vita nella quale ti piace credere. I valori nei quali ti piace credere. La tua vita, secondo le tue circostanze. Rendendo vere, in te e per quanto possibile e come naturale conseguenza nella tua vita ordinaria, le conoscenze che senti rinnovarsi in te stesso/a nel perseguire un cammino spirituale che è risveglio, consapevolezza e compassione. A questo punto, la sola via possibile. E attraversa questa valle, dal destino ormai segnato. Lascia stare. Fai il tuo. Conosci, scopri, impara, sii testimone di buona volontà e di amore, di gentilezza e di saggezza…
mercoledì 27 luglio 2016
Passeggiando...
Gente che partecipa ad un processo umano globale di cui non è consapevole e sul quale non ha il minimo potere. Il potere viene amministrato da organismi lontani, quasi leggendari. Le direzioni, le decisioni, insomma il “potere” viene esercitato da sedi politiche e, soprattutto, economiche ben consolidate, stabili, fortissime. Forti sul piano politico,religioso, economico, sociale e, all’occorrenza, militare. Un potere che costringe la gente su binari esistenziali precisi, sempre più omologati, angusti, sui quali viene concesso sempre meno spazio all’emozione, alla creatività, al senso. Un potere globale anonimo e impalpabile che guida tutti. Dove? Verso la distruzione. La distruzione del pianeta e, in fin dei conti, dell’umanità stessa. Questo è risaputo. Ormai evidente. Anche al bar se ne parla continuamente. Eppure nessuno può nulla. Qualcuno ne parla anche con molta lucidità, non solo per lamentarsi. Eppure, tutti sono rassegnati e sereni, sui loro binari precisi, stretti, ineludibili. Invisibili.
Passeggiando per la strada vedo gente. Penso alla gente. Penso all’umanità. All’evidente direzione distruttiva ormai insindacabile, lenta, progressiva. Che accade. Che sta accadendo mentre passeggiamo. Mentre facciamo le nostre cose, sui nostri bravi binari.
Mentre altri umani presuntuosi e potentissimi, che probabilmente non passeggiano, continuano a rappresentare la nostra specie davanti alla storia. E a raccontarsi (raccontarci) il mito dell’Uomo che tutto può, che ha il diritto di dominare il mondo, di organizzarlo secondo i suoi desideri, forti della convinzione che loro possono rappresentare tutti nel loro progetto di evoluzione, unico, giusto, che dà loro il diritto alla ricchezza e all’agio perché loro sono convinti di non essere comuni umani come noi, che passeggiamo, ma che possono fare tutto quello che fanno perché la storia li ha voluti superiori, più forti e potenti, vincitori e quindi al potere. E noi, che passeggiamo, conduciamo le nostre vite, bene o male, più o meno. E intanto i binari di tutti noi si intrecciano e infine si dispongono verso l’unica direzione ormai prevedibile: la distruzione. Lenta. Certa.
Chi ha occhi per vedere, chi si “sveglia” un pochino, lo vede. Ma, non si può fare nulla. Nessuno può farci nulla. Al limite ognuno può, con intelligenza e saggezza, rendere più virtuoso e sensato il suo procedere lungo i suoi binari, magari tentare di allargarli un po’, ma uscirne è difficile, forse impossibile e poi sarebbe comunque poca cosa. E poi per cosa? Triste consolazione, no? Può tentare di mandare messaggi, riunirsi con altri come lui, far capire, far vedere, e tuttavia per cosa? Ce la siamo fatta rubare da sotto il naso, la vita. La storia. La nostra storia. Ci siamo fatti convincere, comprare. E ora nessuno può fare nulla o comunque così poco che equivale a nulla.
Accorgendosi di tutto questo, qualcuno si impone di fare qualcosa. Almeno di fantasticarci su. Non sbaglia. Altri, invece, se la fanno andare bene, non ci pensano. Si drogano con tutto quello che trovano lungo i binari: il successo, il sesso, i soldi, lo sballo, la carriera, nuove religioni, la spiritualità. Altri ancora neanche capiscono di cosa parlo. E passeggiano tranquilli. Sorridono, chiacchierano, giocano. Poi di fretta al lavoro, poi questo e quell’altro e via così.
Passeggiando per la strada vedo gente…
lunedì 25 luglio 2016
Vie Iniziatiche, Cammini Spirituali e l'Accadere del Risveglio
In questo momento così confuso di “offerta spirituale” tante volte mi si chiede: “quali sono le basi e i passi di un cammino di risveglio autentico e concreto?”
Gli elementi sono sempre quelli, da sempre, in tutte le Vie; riproposti con metodi sempre più raffinati ai vari livelli di comprensione, sempre segnano il "lavoro" interiore personale:
1. Ricerca – Studio – Riflessione
2. Presa di coscienza radicale: necessità di rinnovamento
3. Scomposizione e autoanalisi: autoconoscenza – autoascolto
4. Esercizi spirituali e psicofisici a sostegno del processo di cambiamento di percezione e di prospettiva
5. Liberazione, riordino e ricomposizione di sé ad un rinnovato livello di consapevolezza
6. Pratica di Vita: riflesso nel quotidiano con coerenza, continuità e senso delle priorità
7. Confronto – condivisione – serena testimonianza
E si ricomincia… finchè l’illuminazione, per le sue misteriose vie, non sopraggiunge conducendo a Vita Nuova: oltre gli inganni del cuore e della mente, oltre le illusioni della corporeità, oltre le lusinghe dell’io, oltre i riflessi di questo mondo temporale, nel consapevole ricongiungimento con il grande disegno evolutivo della Coscienza.
In poche, semplici, parole, questo è il cammino spirituale. Questa la nostra parte per aprire la strada, per lasciare che sia, ovvero rispettando il fatto che il risveglio non sia frutto di cause note, bensì che… accada.
martedì 19 luglio 2016
Esistenziale e Spirituale
L’Accademia ACOS e il laboratorio “Il
Filo D’Oro”
Da molti
anni tengo conferenze e conduco corsi di meditazione e di indagine delle
facoltà interiori prendendo spunto dai miei studi e condividendo la mia
esperienza di ricerca nel campo della medicina olistica e delle discipline
psicofisiche tradizionali. Ho creato l’Accademia ACOS, ma – a latere – anche un
laboratorio che ho chiamato “il Filo d’Oro”.
La maggior
parte delle persone che si avvicina ai miei corsi e alle attività che organizzo
come Accademia ACOS cerca soluzioni. Soluzioni per la salute, volendo
approfondire approcci naturali e olistici per la prevenzione o la cura. Per
questo mi avvalgo della collaborazione di medici e professionisti che possono
dare conforto in questo senso. Soluzioni per risolvere problematiche
relazionali, in famiglia o nella coppia, oppure sul lavoro. Soluzioni per la
carriera e il successo. Oppure, nella volontà di conoscere se stessi, intendono
liberarsi dai condizionamenti ed esprimere al meglio potenzialità latenti:
sviluppare la creatività, l’arte, i propri talenti. Altri ancora cercano la
“conoscenza”, ovvero di recuperare e sviluppare antichi saperi in grado di
fornire risposte attraverso gli occhi di una scienza più ampia. E altri ancora
vorrebbero.. salvare il mondo. In fondo si tratta sempre di volersi dotare di
soluzioni e di accedere a potenziamenti efficaci, estendendo il proprio
interesse verso l’invisibile che a
sua volta diventa un’ulteriore terra di conquista, proprio come lo è sempre
stato, e continua ad esserlo, il visibile.
È una ricerca di soluzioni, legittima e dignitosissima, che definirei di
carattere “esistenziale”: di salute, di benessere, di successo, di appagamento
e di conoscenza e crescita personale. Per questo ho creato l’Accademia e
organizzo tante conferenze, incontri, laboratori, seminari e corsi. Ritengo che
sia molto bello poter sentire questo anelito di crescita e trovare dei contesti
sani e competenti in cui alimentarlo ed appagarlo.
Devo
tuttavia precisare che la ricerca esistenziale - caratterizzata dal desiderio
di salute, benessere e cultura di cui sopra - non può e non deve essere
automaticamente intesa come “ricerca spirituale”, dato che, in quanto tale, non
ha nulla di “spirituale”. Certo, la ricerca
spirituale può naturalmente implicare percorsi di guarigione, benessere,
cultura e crescita - in senso professionale, esistenziale ed etico - ma non ha
quel tipo di “domande” al centro della sua natura.
La New Age,
come le religioni, ha spiritualizzato – spesso banalizzandoli – tutta una serie
di bisogni (terapeutici, psicologici, esistenziali) i quali vengono, pertanto,
confusi con la spiritualità – in fondo è anche una strategia di marketing – ma
che invece non solo non hanno a che fare con la spiritualità, ma rappresentano
qualcosa di diamtetralmente opposto alla spiritualità e che quindi non possono
neppure ritenersi propedeutici ad un cammino che possa dirsi spirituale, ovvero
di “illuminazione” e di “risveglio”, così come oggi si usa dire. Questo perché
alimentano modi pensare, desideri e orientamenti che continuano ad essere di
carattere utilitaristico. La ricerca terapeutica, psicologica, culturale, che in
definitiva potremmo al meglio definire “esistenziale”, ovvero di crescita
personale, anche in senso olistico, non è ricerca “spirituale”, sebbene possa e
debba auspicabilmente avere un
retroterra filosofico, ideologico ed etico, quindi non solo commerciale. Eppure
non si tratta di spiritualità.
La ricerca
spirituale ha al suo centro il mistero della vita e della morte. Dell’anima
oltre i sensi, dell’essenza oltre la corporeità, dell’origine e dello scopo
ultimo. Senza attaccamento, senza piani, senza riscontri. È ricerca di senso:
il perché più che il come, il come più che il cosa. È misticismo più che religione,
saggezza più che sapienza, comprensione più che guarigione, consapevolezza più
che benessere, amore più che felicità. È “meno” più che “più”. È sfoltimento
più che crescita. E non ha nulla di utilitaristico né di commerciale. La
spiritualità non serve a nessuno. Non deve servire.
Dobbiamo uscire dalla logica “non serve a niente, quindi è inutile o non
esiste”. Anzi, è proprio perché, secondo la nostra logica, non serve, che è così fondamentale.
La
spiritualità, come ho detto, può riflettersi in scelte di vita e in modi di
essere che aprano la strada a guarigione, felicità, benessere, crescita
personale, miglioramento della qualità delle relazioni, ma può anche implicare
tutto l’opposto dato che la priorità è un’altra. Il focus è altrove. E può
essere lontana da tutto quello di cui noi oggi abbiamo certezza in merito alla
vita, a noi stessi e a tutto quanto. La ricerca spirituale è prima di tutto trasformazione e non conoscenza o
utilità riferite al quadro esistenziale che insistiamo ad avere come
riferimento.
Ecco che, se
parliamo di spiritualità, accanto e opposto all’Accademia, ho creato “il Filo
d’Oro”. Il Filo d’Oro è un laboratorio spirituale. Partecipare al Filo d’Oro
può eventualmente voler dire sviluppare i temi dell’Accademia, incontrandoli e vivendoli
ad un altro livello di esperienza, ma chi ha come obbiettivi quelli ai quali
risponde l’Accademia, ovvero obbiettivi
“esistenziali” misurabili - e
ritenesse non solo prioritario ma bastevole quell’intento (perchè definito e
concreto quanto basta) - troverebbe “il Filo” molto deludente. Paradossalmente,
anche qualora fosse certo di essere spirituale e di fare spiritualità secondo
le definizioni e le promesse del mercato, troverebbe la spiritualità – per
quello che la spiritualità effettivamente è (e non è) – molto deludente. Perché
la spiritualità non serve a niente. E non dà la felicità. E non risolve
problemi di salute o nevrosi. E non ti rende più ricco e benestante.
L’Accademia
non ha nulla di spirituale. Insegna tante cose, fa crescere, conferisce
competenze e offre molte soluzioni. Ma non ha niente di spirituale. Così come
il Filo non si pone l’obbiettivo di far stare bene, di dare il successo e di aiutare a vivere sani, felici,
potenti e vincenti. Il Filo non ha neppure un obbiettivo culturale, né di
carattere etico. Perché il Filo d’Oro è un laboratorio spirituale, un crogiolo
di trasformazione. L’Accademia offre risposte. Il Filo d’Oro offre domande. L’Accademia
accresce. Il Filo decresce. L’Accademia sviluppa. Il Filo demolisce. L’Accademia
conferma. Il Filo trasforma. Mi si
domanderà: ma dunque sono incompatibili? Esistenziale e spirituale? L’accademia
ACOS e il Filo D’Oro? No. O meglio, direi che lo spirituale non sia incompatibile
con l’esistenziale quanto l’esistenziale fine a se stesso è
incompatibile con lo spirituale. La soluzione sta tutta in una parola:
maturità. Maturità che è capacità di prospettiva oltre l’illusione
materialistica. Oltre l’egocentrismo. Oltre la corporeità e i sensi.
Con maturità
si può coltivare lo spirituale senza intossicarlo, così come si potrà badare a
migliorare i propri termini di esistenza senza rinchiudervisi.
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