giovedì 27 giugno 2013

Sui gruppi spirituali e progetti condivisi...


(Estratto da alcuni incontri)




In alcune tue conferenze e anche nell’ultima parte del tuo libro "Metamorfosi", sembra che proponi un progetto di vita, come la creazione di un gruppo umano o di una comunità spirituale. Non ho capito esattamente di cosa parli, puoi meglio descrivere questo progetto?

“Borgo Spirituale”: non saprei come altrimenti definirlo.
L’idea alla quale stiamo lavorando concretamente – luogo e condizioni generali sono già abbastanza definite da me e da alcuni amici – non nasce per creare una comunità o un ecovillaggio. Certo, gli aspetti del biologico e dell’autosufficienza sono inclusi, ma senza fanatismi e con la dovuta gradualità.

L’idea forza che ci muove è creare quel contesto umano (naturale, solidale e creativo) – residenziale, ma anche di incontro/ritiro occasionale – che ci permetta di dedicarci al risveglio della Coscienza.


Una volta soddisfatte pienamente e gioiosamente le necessità di base, desideriamo dedicarci allo sviluppo del nostro potenziale, o comunque vogliate intendere la vocazione spirituale. Individualmente, ma anche condividendo alcune esperienze in modo spontaneo e non invadente (ognuno a casa sua per intenderci, ma potendo godere di momenti e spazi condivisi, tra di noi, con amici e “compagni di viaggio”). Senza bandiere, né scuole, né maestri (tutti lo siamo e tutti possiamo imparare sempre e comunque), senza guru o primi tra pari, senza risvolti politici o dogmatici.

L’obbiettivo, giusto per ribadirlo, non è “biologico” o “naturalistico”. Per lo meno, non solo quello: il focus è sul progetto di uno stile di vita sostenibile in funzione del “lavoro” spirituale, per avere il tempo, anche grazie al sostegno reciproco e alla forza del gruppo e di un contesto di valori umani recuperati, di dedicarsi compiutamente a quelle pratiche, discipline e scelte di vita volte alla Rinascita. C’è bisogno di soldi, tempo e tante belle cose: ma non è questo il punto. Quello che deve arrivare arriva o arriverà. Servono piuttosto buona volontà, intenti puri e coraggio delle proprie scelte. Se ci siamo, il resto viene da sé.

Il progetto è ampio. Sappiamo quello che non vogliamo. Ci sono molti dettagli già esaminati. Molti sogni condivisi e già sul piatto… Moltissime cose che si possono fare. E comunque vedremo: l’importante non è cosa fare, ma come farlo. Non c’è fretta, né la necessità di fare – altra trappola – se prima non si è. Se prima non si aprono quei canali che ci portino a vibrare su quel piano dove è possibile aprirsi ad una certa intuizione, ad una visione corretta delle cose: se no si mette il carro davanti a buoi e si pensa di fare qualcosa di nuovo però sempre con la solita mente, non facendo altro che sbagliare. Prima si lavora su di sé per rendersi canali puliti ad una visione reale, comprendendo cosa può significare cavalcare l’onda del cambiamento, l’onda del nostro potenziale interiore e poi, forti di questa consapevolezza, si muoveranno i passi nella direzione migliore, con occhi e sensi nuovi, verso una realtà davvero rinnovata, che adesso non possiamo neanche immaginare. È una piantina delicata, che va coltivata in serra. Nel silenzio. 



Hai un progetto preciso in cantiere?

Non c’è un “io” e un “voi”, un “fare parte di”, un accettare o meno un progetto o una proposta, o l’idea mia o di qualcuno. Non c’è un rispondere “sì, mi va” oppure “no, non mi va” a qualcuno. Nulla da temere, nulla da poter perdere, nulla che venga dall’esterno da soppesare passivamente. Non è neanche giusto. Nulla per cui sentirsi in dovere, o sfruttati, o da giudicare. Non ci devono essere soggetti attivi che “vendono” qualcosa e soggetti passivi che valutano se comprarla o meno, che la giudicano, che la debbano accettare o meno, magari aspettandosi qualcosa, facendosi idee o temendo chissà che. Non ci devono essere istituzioni, entità, bandiere, guru, né scuole o appartenenze.

Semplicemente, la mia opinione, se mi viene chiesta, è che uno sbocco possibile idoneo per favorire la propria ricerca, vocazione e opera spirituale - intesa come “lavoro su di sé” - sia quello di poter disporre di un contesto spazio-temporale ove potersi raccogliere e dedicarsi adeguatamente al proprio sentire. Un contesto anche umano favorevole, per condividere, eventualmente e non necessariamente, momenti di dialogo, di confronto, di meditazione o di collaborazione.

Ognuno può crearsi questo spazio-tempo, senza aspettare altri. Può anche sperimentare contesti già esistenti. Oppure, laddove vi sia una certa comunione di intenti e di vedute, creare insieme ad altri, mettendoci del proprio, qualcosa di adatto, potendo così disporre di una maggiore forza data da un gruppo sufficientemente affiatato, affiatamento che va opportunamente costruito e verificato con calma prima di condividere progetti di questo tipo.

Il contesto di cui parlo può anche essere pensato come esperienza per il fine settimana o per periodi di ritiro spirituale, come una sorta di laboratorio, fino all’idea di una scelta di vita più radicale, residenziale e di autosufficienza. L’importante è tenere sempre presente la centralità dell’individuo, cioè la propria presenza attiva, volontaria e concreta, nel fare e non nell’aspettarsi di soppesare quello che propongono gli altri, magari poi con la paura che ti vogliano fregare, oppure con in testa la furbata di poter sfruttare gli altri, peggio ancora…

Bisogna essere concreti e presenti a se stessi, al proprio sentire, alle proprie aspirazioni reali e, quindi, fare, ovvero regolarsi di conseguenza verso una direzione piuttosto che altre. Bisogna essere molto sinceri con se stessi, prima ancora che con gli altri.

Io non propongo niente: secondo me quella è una possibilità interessante da considerare, viste le circostanze sociali nelle quali ci troviamo, per individuare delle vie concrete non solo per sperimentare nel quotidiano le proprie intuizioni e conquiste spirituali, ma per poter ricavare il tempo e l’energia necessaria ad un lavoro che, visto da dove partiamo, è piuttosto complesso e richiede di potersi dedicare a cose precise, potendo sviluppare un certo stile di vita che faccia da contenitore possibile. Fare da soli questo può non essere facile e, quindi, penso che vibrare insieme ad altri verso questa direzione potrebbe essere più fattibile, bello e divertente. Ma, è un qualcosa di magico: non si può ragionarci troppo con la testa, fatta di aspettative e di paure, di calcoli e di causa-effetto. Per questo dico che prima si fa un lavoro individuale interiore di un certo tipo, poi ci si sente con gli altri, e intanto la realtà attorno comincia a muoversi, a cambiare, a rispondere sincronicamente. E, se non c’è l’ego di mezzo, si può fluire intuitivamente verso certe possibilità e realizzazioni, spostarsi di piano, fare miracoli. Se invece si cede alle trappole della mente e dell’ego, del calcolo e della paura, bom… si è già finito e anzi, meglio accorgersene subito e mollare la presa, altrimenti, con tutte le buone intenzioni che siamo capaci ad inventarci, si creeranno mostruosità.