sabato 15 settembre 2018

La fortuna di vivere in Italia

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Sperimentazioni di massa. Manovre geopolitiche di terzomondizzazione. Pianificazioni epidemiche. Manipolazione mediatica. Qualità scolastica ai minimi storici. Corruzione ai massimi storici. Disinformazione a tutti i livelli. E tanto, tanto altro in questa nostra bella Italia, specchio del mondo: testimonial rivelatore dell’inevitabile e sacrosanto crollo del “sistema-uomo”.
Pensate che fortuna abbiamo! Siamo in prima fila! Siamo sfruttati, ingannati, derisi, intossicati, manipolati, uccisi. Quanto di meglio pretendere per cominciare, forse, a CAPIRE?
È vero, probabilmente siamo anche narcotizzati, sedati, disinnescati – è evidente – eppure questo nostro vivere in Italia è la più sfacciata e sfrontata fortuna che può capitare a chi non può che SVEGLIARSI (forse uno o due, non dico tutti) per comprendere da dove RI-PARTIRE una volta che il gioco al massacro si sarà consumato, perché avrà saputo traslare su altre logiche in modo sottile e arguto. Perché, vivendola per quello che è, smascherandola pur stando al suo gioco ineludibile, avrà intanto saputo sfilarsi pian piano da tutta questa faccenda, attraverso inconsuete, inedite e inaspettate Vie.
Abbiamo una fortuna enorme! Possiamo vederlo per primi, possiamo accorgercene, come non accorgersene in questa Italia-Mondo alla frutta?

Crescita individuale è sentirsi parte di un più grande disegno.


Quali fasi caratterizzano una possibile crescita spirituale?
All’inizio c’è la fase in cui si pensa di non poter fare nulla. E da un certo punto di vista è bene. È umiltà: che non sia rassegnazione! Poi, dedicandosi a certi studi, si arriva a credere di poter fare invece molte cose. Anche questo è bene. È credere in sé stessi, esplorarsi. Dopo un certo tempo si comincia a pensare di potere, anzi di dovere, fare tutto da soli. Anche questo è vero, è giusto ed è bene. È responsabilità e autodeterminazione. Personalmente mal sopporto chi, a questo punto, intende l’esperienza di ricerca spirituale (e i suoi conseguimenti) come un fenomeno personale (personalistico) e individuale (individualistico e solipsistico): penso che siamo all’apice dell’egoismo, mascherato da una certo preteso spiritualismo dell’esisto solo e solo io e fuori non c’è nulla. Anche questa è un’evidente forzatura. L’individuo diventa narcisista e se da una parte può arroccarsi nella sua torre d’avorio, dall’altra può riformularsi come guru di qualche gruppetto settario. Di fatto pensa solo a sé stesso e al suo privatissimo trip esistenziale. Fino a che, finalmente, si esce dall’“egoterismo” e si comincia a vedere più chiaramente. Si desidera condividere, stare e fare insieme agli altri, soprattutto con coloro che si ritrovano in sintonia con questa straordinaria ricerca. Allora, salvo che il cammino sia sempre ed inevitabilmente personale in quanto a responsabilità e lavoro su di sé, ci si apre ad un disegno più grande, ad una progettualità più ampia e, perché no, anche più divertente e molto stimolante. C’è scambio, conforto, cooperazione. Si scopre la bellezza dell’amicizia, anzi di una sorta di “fratellanza”, senza chiusure, ma che anzi permette di scoprire e realizzare molte cose non solo per sé stessi ma in un’ottica più ampia, in quanto ci si sente parte del movimento umano come coscienza e vita. La libertà personale, tutt’altro che compromessa, diventa motivo di consapevolezza nella relazione. Diventa comunione, visione d’insieme. Ognuno ha il suo viaggio ed è nella propria fase che va rispettata per quello che è. Tuttavia fortunati coloro che riscoprono il valore della fratellanza, la bellezza della condivisione, dell’amicizia e di una più ampia capacità di visione.

La possibilità del cambiamento: concederla, determinarla, riconoscerla.


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In un percorso di crescita – in una Via Iniziatica – spesso ci si relaziona con altri. Non solo con se stessi e con il proprio mentore, ma con altri “fratelli” e “sorelle”. La condivisione si fa scambio, confronto, talvolta scontro: ci si smussa a vicenda, come i sassi che insieme rotolano in un torrente. Molto spesso capita di esercitare il giudizio e di essere severi in questo: per rispetto del percorso, per senso di giustizia e disciplina, per amore dell’altro. È giusto che sia così. Ma quando è lecito essere severi? È lecito essere severi solo quando non c’è pregiudizio. Questo significa che la nostra severità deve andare di pari passo con la capacità di concedere all’altro la possibilità del cambiamento ed essere pronti a riconoscerlo e ad accoglierlo, subito, incondizionatamente, con fiducia e ottimismo, quando ci troviamo di fronte non solo all’impegno ma anche al più piccolo risultato. Si innesca così un circolo virtuoso, gratificante, motivante, per cui sarà anche il nostro atteggiamento positivo e fiducioso – mai buonista! – a sostenere (a determinare persino!) il cambiamento dell’altro, che è anche un po’ un cambiamento in noi stessi.
Severità, dunque per amor di verità e per amor dell’altro, sinceramente, ma mai insistenza nel giudizio che diventa etichetta e pregiudizio definitivo, ma, anzi, sempre totale disponibilità nel saper cambiare idea quando ci troviamo di fronte al cambiamento e al suo merito. Anche il nostro di cambiamento sarà così sempre accolto prontamente e nutrito di fiducia e amore, perché cambiare… è possibile!