Partiamo dall’ipotesi che l’evoluzione – che sia naturale,
umana o di ordine trascendentale – implica il confrontarsi con un ambiente
ostile e contraddittorio. Se le insidie naturali, ovvero le cause esterne,
potranno essere in qualche forma gestite e non costituiranno più una minaccia in senso assoluto, allora ci penseranno i conflitti interiori all’uomo,
conseguenza della sua ignoranza sulla sua vera natura – tutta da riscoprire e
da ri-evolvere (perché questo è il gioco!) – a produrre quegli scenari, più o
meno subdoli, di sofferenza, menzogna, ingiustizia e violenza, perché il mondo si conservi nella sua durezza e il risveglio a se
stessi e l’evoluzione si confermino come il risultato di sforzi superiori
e di scelte straordinarie.
Tale ipotesi induce a pensare che menzogna, ingiustizia
e violenza, nonché tutte le altre insidie naturali, quindi dolore e sofferenza,
siano ingredienti impliciti e necessari propri di qualsivoglia piano materiale:
elementi di partenza che dovranno essere trasmutati attraverso processi
coscienziali che condurranno al
trascendimento di quel dato piano a favore di superiori e più armoniche esperienza di reintegrazione.
L’ignoranza umana produce, come detto, scenari incoerenti,
illusori e ingiusti come processo di base, probante e necessario. Processo che
dovrà auspicabilmente produrre, dal basso, manifestazioni superiori di
coscienza: atti inediti, rivoluzionari e straordinari, dunque liberatori ed evolutivi.
Il mondano frullino fatto di illusioni, ambiguità e
conflitti, alimentato da tutte quelle paure che condurranno alla perdita del
senso di unità, di se stessi e all’idea convincente del vantaggio personale come unico scopo sensato, è guidato da un demone, o
meglio da un “dio”, che oggi si chiama profitto, ovvero denaro a sua volta
viatico ai soliti appagamenti che, nella nostra ignoranza, si identificano con
la semplice soddisfazione della sensorialità carnale, materiale, egocentrata.
Da qui i violenti e i furbi che prevalgono su tutto e su
tutti, senza scrupolo alcuno. Senza ulteriore visione se non quella già descritta.
Da qui sedi di potere che si avvicendano per… fare la loro
parte: cioè comunque garantire quella naturale insidia esistenziale, fatta di tormenti,
inquietudini e sofferenze, in quanto prova per la Coscienza fintanto che non si sappia imboccare nuove interpretazioni del possibile, gioiose e liberatorie.
Le sedi del potere mondano necessitano sempre di alcune
formule di controllo e manipolazione: prima fra le quali la necessità di un “nemico”.
Ovvero, della necessità di stabilire arbitrariamente cosa sia bene e cosa sia
male e di indicare, pertanto, chi incarni quel bene e chi incarni quel male.
Dividere e imperare è una formula di base, vecchia come il mondo: la dualità,
il moralismo, la polarizzazione sono formule di gestione della sofferenza o,
per lo meno, di un “bene” illusorio che consentano la sedazione di ogni spinta
coscienziale latente, affinché - diciamo noi - questa possa rinnovarsi solo passando attraverso drammatiche
prese di coscienza successive.
Il frullino mondano, con tutte le sue brutture, va gestito sapientemente:
il sistema non deve collassare! Ecco quindi l’introduzione di correttivi:
periodici aggiustamenti e ricalibrature, dando ora ragione ad alcune ragioni e
dando poi la possibilità di dare ragione ad altre ragioni, in una sapiente e
dosata alchimia di mantenimento del potere: è questo il ruolo e il potere
arcontico di chi rappresenta, dentro e fuori di noi, a turno, il contesto
mondano: il mondo, questo tipo di mondo, questo campo di battaglia va
mantenuto così com’è. Possiamo però intuire, dando un senso a tutto questo, che l’impegno scellerato dei nostri arconti sia in fondo quello di mantenere questo triste palcoscenico, perché
la drammatica commedia umana possa svolgervisi.
Intercettare e veicolare, quindi sedare, tutte le possibili
realtà di dissenso (e quindi di potenziale risveglio) fa parte del gioco del
controllo e del mantenimento del sistema: certo, prima o poi qualcuno sfuggirà
(in tal caso si parla sempre di singoli individui, mai di masse) e così avrà
fatto il suo: ciò nonostante il sistema collettivo di partenza (che da gabbia
per taluni – eroici individui - si è trasformato in trampolino) non può e non deve
risolversi.
E allora ecco che per mantenere in equilibrio tutto quanto,
si deve gestire non solo il consenso (con la manipolazione dell’informazione,
dell’opinione pubblica e del “chi sono i buoni e chi sono i cattivi”), ma anche
del dissenso, fornendo a quest’ultimo i suoi paladini spesso, ma non sempre, subdolamente
identificati e tratti proprio tra coloro che un po’ di coscienza forse la
stanno maturando. Due piccioni con una fava: da una parte si incanala un
dissenso ancora immaturo, ma pericoloso, e dall’altra si dà un contentino a
quei dissidenti un po’ più svegli, ma ancora lusingabili. E il gioco è fatto:
sempre quello, garantito, perfettamente gestito.
Osserviamo questo gioco e magari, con distacco e compiacenza,
applaudiamo a quei paladini strumentalizzati dagli abili poteri arcontici, ma
accorgiamoci che, in fin dei conti, per quanto lodevoli, fanno parte loro stessi di questo circo di
illusioni. Quindi non facciamo quel gioco: non polarizziamoci. Possiamo
discuterne, possiamo osservare, possiamo intuire e imparare a discernere, possiamo anche incazzarci e giustamente occuparci di far valere i nostri interessi e lottare quando le brutture e gli inganni si fanno così palesi, perchè quello è segno di coscienza, sicuramente, ma
non polarizziamoci! L’Opera trasmutativa passa attraverso una sottile manovra
individuale e interiore che principia da una presa di coscienza personale molto
silenziosa e intima, disincantata, forse anche un po’ cinica e divertita, nella
quale il pathos si tramuta in eros e da quell’eros, da quel senso di superiore
piacere e bellezza non più solo mondana, fiorirà il reale. Dentro, nel profondo. Da lì, fidatevi, tutto principia.
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