Certo, domanda banale direte voi: vivere è… vivere. Fare le
cose, pensare, amare, provare emozioni e sentimenti, comunicare, lavorare,
magari mettere su famiglia, avere cura di sé, divertirsi, realizzare cose,
avere amici, sviluppare progetti, avere hobby e forse potersi dedicare ad una
qualche forma d’arte, educare i propri figli, essere buoni cittadini,
invecchiare sereni, godersi la pensione… Questo è vivere, Anzi, potremmo dire
che questo sia da considerarsi già “vivere bene”. “Stare bene”. Oggigiorno lo
studio, la cultura, la scoperta, l’arte sono cose ritenute già piuttosto
specifiche: attività normali o necessarie in certi periodi della vita o per
certe persone “portate” o che “possono permetterselo”. Ma che poi, nella nostra
società funzionale, decadono all’insegna del fare, del produrre, del
guadagnare, insomma di altre necessità ritenute impellenti e prioritarie. Come
del resto i rapporti di amicizia: alla fine restano sempre più un residuo, non
di rado sulla base ancora una volta di criteri di necessità e opportunità.
Certo, c’è la famiglia: quella di origine e quella attuale, con tutti gli
annessi e connessi. Questo è vivere, potremmo evidentemente concludere. Questa è la vita. Più o meno, nella media
oggi, in un paese “civile” e “moderno”. Cos’altro manca? Ah sì… quella cosa di
cui a volte sentiamo parlare, che ha a che fare un po’ con la storia, un po’
con la cultura, un po’ con l’arte, un po’ con il costume e la società, con la
morale, l’etica, l’essere buoni o meno, con il comportarsi bene con gli altri e
con l’ambiente. Con l’essere “brave persone”. È la religione, direte voi. Sì,
diciamo… la “spiritualità”. Che tra l’altro oggi viene fusa e confusa con tante
altre cose, spesso per infiocchettare prodotti, servizi e beni di consumo, per
motivare a certe scelte politiche o economiche, se non addirittura per
giustificare guerre e contrapposizioni tra gli uomini. È stata perfino fusa con
l’arrivismo: oggi strumenti di crescita personale, motivazione, autostima e
tecniche per il successo vengono meglio vendute se profumate d’incenso.
Ma, la religione
non è spiritualità. E la spiritualità non è, o non è solo, cultura, arte,
salute. Certamente non ha a che fare con tutto quel mercato di espedienti per
la realizzazione personale, la felicità e la carriera. È certamente altro.
Non è religione perché non è dogma, né istituzione. Non è cultura perché
non è “sapere”. Non è psicologia, non è terapia, non è un “bene di consumo”:
perché la spiritualità, sembrerebbe, non serve a niente e a nessuno. Non è
mezzo per la sopravvivenza né per il progresso. Né per la felicità di qualcuno
o di tutti. Forse, potremmo provare a dire, facendo già un bel salto di
qualità, che sia un fine, anzi il
fine. Ciò che motiva profondamente, da cui tutto origina e in cui tutto si
risolve, e che tutto attraversa, dando senso, conforto e prospettiva. Eppure, la
spiritualità non ha un fine. E, soprattutto, non è utile. Non è funzionale. È decisamente un “di più”,
anzi un “di meno”. Cos’è la spiritualità? Difficile a dirsi oggi, vero? In una
società come la nostra, tutta intenta a produrre, consumare, crescere. E noi
tutti intenti a stare bene, intenti al successo, alla felicità. Al “benessere”.
Ad acquisire certezze, metodi, soluzioni. Ma, cos’è la “spiritualità”? Cos’è
“spirituale”? Cos’è la “ricerca spirituale”? È facile dire cosa non è: quello
lo stiamo capendo, se siamo attenti. Lo stiamo imparando, spesso a nostre
spese. Sappiamo, anzi sentiamo cosa
non è la spiritualità. Se siamo sinceri con noi stessi. Intuiamo cosa non può
essere. Progetti, eco villaggi, monumentali templi, grandi teorie sul cosmo e
l’essere... E ogni volta che pensiamo di averla imbrigliata, ecco che la
definizione, lo slogan, la frasetta… non ci piace mai: al massimo abbiamo
trovato un altro modo di infiocchettare qualcos’altro. Dobbiamo ammetterlo. E
non è neanche sviluppare le facoltà interiori o consuetudini nobili: essere
vegani o capaci di esplorazioni astrali non è spiritualità. O forse lo è… ma
non è quello il punto. È mistica? Ecco, può darsi che ci stiamo
avvicinando.
Mistica: parola evocativa, da liberare ovviamente dalle pesantezze
religiose. Cos’è la spiritualità? Cos’è
la spiritualità? Quale ricerca? Quale esperienza? Quale anelito? La filosofia
dà significato alle cose, ma la spiritualità vuole l’assoluto. È fame di
assoluto! Ma cosa pretendo dire oggi: in questa società del prodotto… del
“benessere”… della lamentazione. E io che pretendo di fare spiritualità? Non ne
so niente. Sono colto. Ho studiato. Ho
sperimentato stati altri di
coscienza. Medito. Insegno a meditare. Insegno perfino a stimolare talune
facoltà particolari. Ma no… No. Ancora mi arrovello. Non tanto perché non sento
questo straordinario mistero, ma perché mi chiedo come sia possibile tornare a
capirsi su qualcosa oggi di così tanto trascurato. Inutile. Inutile? Eppure la
spiritualità è il fondamento della vita. Cos’è la vita se non è spirituale?
Umile e amorevole scoperta, meraviglia, tentativo, comprensione, compassione?
Tutto vano (e vanesio) se sfugge il profondo, inspiegabile e commovente anelito
di assoluto. No… ma che Dio? Che conoscenza? Che potere? Che coscienza? No… È
risveglio. Davvero è il risveglio ad un’alba meravigliosa. È fioritura, quesito
inevitabile quanto insondabile, se siamo vivi. È follia. Pura follia. Pura
poesia. Silenzio, dunque. Silenzio. Respiro. Né questo, né quello.
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