Trascrizioni dagli incontri con Carlo Dorofatti in Umbria.
DOMANDA:
Spesso ti sento fare una distinzione
tra la “new age” originale e una certa piega che questa new age avrebbe preso,
diventando un fenomeno di moda e di business. Ti scagli contro l’idea di questa
“salute e benessere”, di questa “prosperità e abbondanza” e dei suoi guru. Puoi
specificare meglio la tua posizione e questa particolare distinzione tra quello
che intendi per new age e questa modalità attuale al centro della tua denuncia?
Inoltre, non è forse spirituale accettare profondamente se stessi, migliorarsi,
volgersi verso una vita solare, luminosa, rivolta al bene di sé e degli altri,
con serenità intima e senza porsi
necessariamente altri “grilli per la testa”, che in fondo sono forse
solo delle illusioni?
CARLO:
Oggi
più che una new age, che non ha
niente a che fare con quella mitica new age
degli annti Settanta, quella di Timothy Leary, di Aldous Huxley o di Terence
McKenna, per intenderci, ci troviamo di fronte ad una next age (anche i sociologi si esprimono in tal senso). Mentre la new age propriamente detta si pone il
problema di una società, addirittura di una civiltà, nuova - ovvero da
rifondare su presupposti diversi, olistici e spirituali -, dopo la grande
delusione, negli anni ’80 e ’90 il fenomeno cambia e diventa “next age”: la new age diventa qualcosa di diverso,
cioè punta tutto sul benessere dell’individuo. La persona, il singolo, ha il
diritto di incazzarsi, di mandare tutti a quel paese, di essere libero ad
oltranza, di prevaricare gli altri eventualmente (perché alla fine è così!),
perché ha diritto di dire di no, di dire di sì quando e se gli pare, di porsi
prima di tutto e di tutti, finalmente. Questo è l’obbiettivo: assolutamente
individuale. Non c’è ideologia se non quella del benessere individuale, dei
sacrosanti diritti individuali. A parer mio, si è decisamente passati
all’estremo opposto: alla religione dell’ego a oltranza, che infatti ben si
presta per essere la religione del cosiddetto Nuovo Ordine Mondiale, proprio
perché in questo modo gli individui, tutti belli separati ognuno a pensare al
proprio ego e al proprio benessere senza troppe complicazioni e possibilmente
senza impegnarsi neanche più di tanto, sono perfettamente manipolabili.
Questo
per quanto riguarda l’intercettazione di una certa ricerca, di un certo
sentire. Perfettamente riuscita. Per quanto riguarda la seconda parte della
domanda, il discorso è ancora diverso e riguarda quel modello della “persona
normale” che spesso andiamo ad invidiare.
La
rivoluzione spirituale è qualcosa di molto diverso dal conseguire una visione
ed un comportamento etico. Cerco di spiegarmi. Facciamo l’esempio di una
persona buona, gentile, in equilibrio con se stessa, che ama la natura, che
rispetta gli altri: è generosa, fa il suo lavoro, porta avanti la sua vita
osservando un comportamento onesto, integro, senza per questo essere religiosa,
ma semplicemente perché ne comprende il valore. Fa del bene, aiuta gli altri,
educa i propri figli, gode della vita, svolge bene la sua professione, ha senso
civico, fa le sue belle gite domenicali durante le quali si commuove davanti ad
un bel tramonto. Magari fa volontariato e cerca di dare alla sua vita
un’espressione gioiosa, bella e creativa. Probabilmente una persona così avrà
anche successo, starà bene e farà stare bene chi gli è vicino. È questo spirituale? Secondo me no. Non perché
non sia apprezzabilissimo e bellissimo, intendiamoci, ma perchè non ha necessariamente
a che fare con la spiritualità, la conoscenza, il percorso verso una
consapevolezza superiore. Ed è qui il punto.
Quella
persona, sicuramente serena e con meno problemi della seconda tipologia che andrò
a citare tra poco, è un’ottima persona, probabilmente saggia, “migliore” di altre
e di grande spessore etico. Ma, per quella persona la vita è questa. Punto.
Cercherà di trarne il meglio, di comportarsi bene, di rispettarla, di viverla
con passione ed entusiasmo, magari con poesia, con amore e rispetto di sé e
degli altri. Ma per questa persona la vita è questa. Proprio questa qui.
Per
il ricercatore spirituale, persona probabilmente più inquieta e meno solare
della prima, semplicemente la vita NON è questa qui. O, meglio, non è SOLO
questa qui. È un aspetto, ma la spiritualità non è (o per lo meno non si
esaurisce in) questo.
Ecco
la differenza. Con tutte le sue conseguenze.
Al
di là dell’essere in un certo modo e di tendere a migliorare se stessi e questa
realtà, e/o goderne con serenità, ma anche con generosità, altruismo, amore e
tutte le virtù che ci possono venire in mente, la ricerca spirituale e del
divino, che certamente non nega quanto detto finora, comincia tuttavia da
quella intuizione profonda, da quel sentire che… non è quello! Se mai tutti quegli
aspetti , certamente di valore e frutto di una certa maturità, possono – non è detto – fare da base per
una comprensione ancora diversa. Da quella sensazione in poi comincia l’avventura
spirituale.